Il 46% degli adolescenti cerca ascolto emotivo nei chatbot: la solitudine dietro lo schermo

Il 46% degli adolescenti cerca ascolto emotivo nei chatbot: la solitudine dietro lo schermo

Un'indagine su 927 ragazzi rivela che quasi la metà usa l'IA per parlare delle proprie emozioni, percependo gli algoritmi come più accoglienti degli adulti.
Il 46% degli adolescenti cerca ascolto emotivo nei chatbot: la solitudine dietro lo schermo

L’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo (Di.Te.) insieme a Skuola.net ha coinvolto 927 ragazzi tra i 10 e i 20 anni, diffondendo i risultati in occasione della 9ª Giornata Nazionale sulle Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo. I dati restituiscono un quadro chiaro della condizione emotiva della generazione cresciuta tra smartphone e social network.

Oltre 7 adolescenti su 10 dichiarano di avere un forte bisogno di sentirsi ascoltati davvero, non semplicemente sentiti. Più di 1 su 5 segnala che questa esigenza è costante, come una richiesta pressante rivolta al mondo degli adulti.

Quasi 2 su 3 vorrebbero ricevere più “carezze emotive” dalle persone che li circondano, qualche gesto che comunichi presenza e non solo controllo. Quasi 6 su 10 ammettono di fare fatica a parlare apertamente delle proprie emozioni faccia a faccia, come se la comunicazione autentica fosse diventata un terreno scivoloso.

Il peso del confronto sociale sulla salute emotiva

Il confronto sociale quotidiano agisce come filtro distorto attraverso cui gli adolescenti osservano sé stessi e gli altri. Il 68% degli intervistati riconosce che l’approvazione esterna incide direttamente sulla propria autostima, spesso oltre quanto desidererebbero. Questa dinamica alimenta una percezione alterata della realtà: il 58% è convinto che gli altri vivano meglio, siano più felici e sicuri.

La pressione silenziosa si intensifica nell’ambiente digitale. Circa la metà dei ragazzi (52%) soffre il confronto continuo con le esistenze apparentemente perfette che scorrono sui social network. Una quota analoga (51%) teme il giudizio altrui se prova a mostrare vulnerabilità autentiche.

Questo meccanismo produce autocensura emotiva e spinge molti a rifugiarsi dove percepiscono meno rischi, alimentando insicurezze che restano inespresse nella comunicazione faccia a faccia.

L’interazione con l’intelligenza artificiale come spazio non giudicante

Quasi un adolescente su due (46%) ha già utilizzato sistemi di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, per parlare delle proprie emozioni. Per circa 1 su 10, questa pratica è diventata un’abitudine consolidata. Non si tratta di semplice curiosità tecnologica: dietro questo dato emerge un bisogno relazionale profondo che trova risposta in uno spazio algoritmico percepito come neutrale e sicuro.

I dati lo confermano: il 66% degli adolescenti afferma che l’IA li ascolta senza giudicare, mentre il 64% si sente compreso dall’algoritmo. Più della metà del campione (58%) considera ormai i chatbot dei veri e propri aiuti nei momenti emotivamente difficili, quasi degli amici digitali a cui rivolgersi quando si cercano parole di conforto.

L’ingresso prepotente dell’intelligenza artificiale nelle vite dei giovani solleva una domanda cruciale: perché un algoritmo può apparire più accogliente degli adulti? La risposta risiede nella percezione: l’IA viene vissuta come un ambiente paziente, privo di aspettative e reazioni emotive, dove la vulnerabilità non espone al rischio del giudizio.

In assenza di una rete adulta capace di offrire lo stesso clima di ascolto autentico, la tecnologia diventa un surrogato relazionale che riempie il vuoto lasciato dall’indifferenza o dall’approccio giudicante delle figure di riferimento.

Le implicazioni educative e le voci degli esperti

Un dato restituisce con forza la contraddizione vissuta dagli adolescenti: il 59% dichiara che starebbe meglio se i social scomparissero dall’oggi al domani. Non si tratta di dipendenza affettiva dalla tecnologia, ma della ricerca disperata di spazi autentici dove essere sé stessi senza performance continue.

Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Di.Te., interpreta così i risultati: “Questi dati raccontano di una generazione che non chiede meno tecnologia, ma più adulti. Se l’approvazione diventa autostima, se un’IA diventa l’unico luogo dove sentirsi ascoltati senza giudizio, allora il problema non è lo schermo, bensì è la solitudine”.

La tecnologia non va demonizzata ma condivisa e mediata, e la presenza adulta deve tornare a essere un argine concreto, non un’assenza. Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net, aggiunge: “I ragazzi ci stanno dicendo una cosa semplice. Non vogliono un mondo senza digitale, vogliono un digitale che non li lasci soli”.

Il vuoto educativo e relazionale emerso dall’indagine non può essere ignorato: quando un algoritmo viene percepito come più accogliente di un adulto, la responsabilità ricade sulle modalità con cui stiamo accanto alle nuove generazioni.

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