Il Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta il culmine del viaggio di Dante Alighieri attraverso l’Inferno, l’ultima tappa prima di risalire verso il Purgatorio. Quest’ultimo canto della prima cantica ci porta nel punto più profondo dell’Inferno: il nono cerchio, quarto girone, chiamato Giudecca, dove è confinato Lucifero stesso. Il canto è di fondamentale importanza nell’economia dell’intera opera dantesca, poiché rappresenta il punto di svolta tra la discesa infernale e l’inizio della risalita verso la salvezza.
Indice:
- Canto 34 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 34 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 34 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia
- Temi principali del 34 canto dell’Inferno della Divina Commedia
- Il Canto 34 dell’Inferno in pillole
Canto 34 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
Testo Originale | Parafrasi |
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«Vexilla regis prodeunt inferni verso di noi; però dinanzi mira», disse ‘l maestro mio, «se tu ‘l discerni». | «Le insegne del re dell’inferno avanzano verso di noi; perciò guarda davanti», disse la mia guida, «se riesci a vederlo». |
Come quando una grossa nebbia spira, o quando l’emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che ‘l vento gira, | Come quando si leva un’intensa nebbia, o quando nel nostro emisfero scende la sera, appare da lontano un mulino che il vento fa girare, |
veder mi parve un tal dificio allotta; poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio, ché non lì era altra grotta. | mi sembrò allora di vedere una tale costruzione; poi a causa del vento mi strinsi dietro alla mia guida, perché non c’era altro riparo. |
Già era, e con paura il metto in metro, là dove l’ombre tutte eran coperte, e trasparien come festuca in vetro. | Ero già arrivato, e con paura lo racconto in versi, nel luogo dove tutte le anime erano completamente coperte dal ghiaccio, e trasparivano come fili di paglia attraverso il vetro. |
Altre sono a giacere; altre stanno erte, quella col capo e quella con le piante; altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. | Alcune sono distese; altre stanno in posizione eretta, una con la testa in su e i piedi in giù, l’altra al contrario; un’altra ancora, come un arco, piega il viso verso i piedi. |
Quando noi fummo fatti tanto avante, ch’al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch’ebbe il bel sembiante, | Quando fummo giunti così avanti che al mio maestro piacque mostrarmi la creatura che ebbe il bell’aspetto, |
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco ove convien che di fortezza t’armi». | si scostò da me e mi fece fermare, dicendo: «Ecco Lucifero, ed ecco il luogo dove è necessario che ti armi di coraggio». |
Com’io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, però ch’ogne parlar sarebbe poco. | Come io divenni allora gelido e senza voce, non me lo chiedere, lettore, perché non lo scrivo, poiché ogni parola sarebbe insufficiente. |
Io non mori’ e non rimasi vivo; pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno, qual io divenni, d’uno e d’altro privo. | Io non morii e non rimasi vivo; pensa ora da te stesso, se hai un po’ d’intelligenza, come divenni, privato sia della vita che della morte. |
Lo ‘mperador del doloroso regno da mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, | L’imperatore del regno del dolore emergeva dal ghiaccio dalla metà del petto in su; e io mi confronto meglio con un gigante, |
che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant’esser dee quel tutto ch’a così fatta parte si confaccia. | che i giganti non possono fare con le sue braccia: considera ora quanto grande deve essere l’intera figura che corrisponda a una tale parte. |
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto. | Se egli fu tanto bello quanto ora è brutto, e contro il suo creatore alzò le ciglia in segno di superbia, ben deve da lui derivare ogni dolore. |
Oh quanto parve a me gran maraviglia quand’io vidi tre facce a la sua testa! L’una dinanzi, e quella era vermiglia; | Oh quanto mi sembrò una grande meraviglia quando vidi tre facce sulla sua testa! Una davanti, e quella era rossa; |
l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa sovresso ‘l mezzo di ciascuna spalla, e sé giugnieno al loco de la cresta: | le altre due si congiungevano a questa sopra la metà di ciascuna spalla, e si univano al punto della sommità: |
e la destra parea tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde ‘l Nilo s’avvalla. | e la destra sembrava tra il bianco e il giallo; la sinistra all’aspetto era tale quali vengono dalle terre da cui il Nilo scende. |
Sotto ciascuna uscivan due grand’ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid’io mai cotali. | Sotto ciascuna faccia uscivano due grandi ali, di dimensioni proporzionate a un tale uccello: vele di navi non ne vidi mai così grandi. |
Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: | Non avevano piume, ma erano simili a quelle dei pipistrelli nel loro aspetto; e quelle agitava,così che tre venti si muovevano da lui: |
quindi Cocito tutto s’aggelava. Con sei occhi piangea, e per tre menti gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava. | quindi l’intero Cocito si congelava. Con sei occhi piangeva, e dai tre menti gocciolava il pianto misto a bava sanguinolenta. |
Da ogne bocca dirompea co’ denti un peccatore, a guisa di maciulla, sì che tre ne facea così dolenti. | Da ogni bocca dilaniava con i denti un peccatore, alla maniera di una maciulla (strumento per cardare il lino), così che ne faceva soffrire tre in questo modo. |
A quel dinanzi il mordere era nulla verso ‘l graffiar, che tal volta la schiena rimanea de la pelle tutta brulla. | Per quello davanti il mordere era niente in confronto al graffiare, tanto che talvolta la schiena rimaneva completamente spellata. |
«Quell’anima là sù c’ha maggior pena», disse ‘l maestro, «è Giuda Scariotto, che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena. | «Quell’anima lassù che soffre la pena maggiore», disse il maestro, «è Giuda Iscariota, che ha la testa dentro la bocca e fuori agita le gambe. |
De li altri due c’hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; | Degli altri due che hanno il capo in giù, quello che pende dal muso nero è Bruto: vedi come si contorce, e non dice parola!; |
e l’altro è Cassio, che par sì membruto. Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto». | e l’altro è Cassio, che appare così robusto. Ma la notte ritorna, e ormai è tempo di partire, perché abbiamo visto tutto». |
Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai; ed el prese di tempo e loco poste, e quando l’ali fuoro aperte assai, | Come a lui piacque, gli avvinghiai il collo; ed egli scelse con attenzione il momento e il punto, e quando le ali furono ben aperte, |
appigliò sé a le vellute coste; di vello in vello giù discese poscia tra ‘l folto pelo e le gelate croste. | si aggrappò alle coste pelose di Lucifero; di vello in vello discese poi tra il folto pelo e le croste gelate. |
Quando noi fummo là dove la coscia si volge, a punto in sul grosso de l’anche, lo duca, con fatica e con angoscia, | Quando fummo giunti là dove la coscia si congiunge, precisamente sul grosso delle anche, la mia guida, con fatica e con angoscia, |
volse la testa ov’elli avea le zanche, e aggrappossi al pel com’om che sale, sì che ‘n inferno i’ credea tornar anche. | voltò la testa dove prima aveva i piedi, e si aggrappò al pelo come uno che sale, così che io credevo di tornare di nuovo all’Inferno. |
«Attienti ben, ché per cotali scale», disse ‘l maestro, ansando com’uom lasso, «conviensi dipartir da tanto male». | «Tieniti forte, perché per tali scale», disse il maestro, ansando come un uomo stanco, «conviene allontanarsi da tanto male». |
Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso e puose me in su l’orlo a sedere; appresso porse a me l’accorto passo. | Poi uscì fuori attraverso il foro di una roccia e mi pose sull’orlo a sedere; quindi mi raggiunse con un passo attento. |
Io levai li occhi e credetti vedere Lucifero com’io l’avea lasciato, e vidili le gambe in sù tenere; | Io alzai gli occhi e credetti di vedere Lucifero come lo avevo lasciato, e gli vidi le gambe tenute in alto; |
e s’io divenni allora travagliato, la gente grossa il pensi, che non vede qual è quel punto ch’io avea passato. | e se io divenni allora confuso, lo pensi la gente semplice, che non comprende qual è quel punto che io avevo attraversato. |
«Lèvati sù», disse ‘l maestro, «in piede: la via è lunga e ‘l cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede». | «Alzati in piedi», disse il maestro: «la strada è lunga e il cammino è difficile, e già il sole torna a metà della terza ora del giorno». |
Non era camminata di palagio là ‘v’eravam, ma natural burella ch’avea mal suolo e di lume disagio. | Non era un corridoio di palazzo là dove eravamo, ma una caverna naturale che aveva un terreno sconnesso e mancanza di luce. |
«Prima ch’io de l’abisso mi divella, maestro mio», diss’io quando fui dritto, «a trarmi d’erro un poco mi favella: | «Prima che io mi allontani dall’abisso, maestro mio», dissi io quando fui in piedi, «parlami un po’ per liberarmi dall’errore: |
ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto sì sottosopra? e come, in sì poc’ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». | dov’è il ghiaccio? e costui come è conficcato così capovolto? e come, in così poco tempo, da sera a mattina ha fatto il sole il suo percorso?». |
Ed elli a me: «Tu imagini ancora d’esser di là dal centro, ov’io mi presi al pel del verlo reo che ‘l mondo fóra. | Ed egli a me: «Tu immagini ancora di essere al di là del centro della Terra, dove io mi aggrappai al pelo del verme malvagio che perfora il mondo. |
Di là fosti cotanto quant’io scesi; quand’io mi volsi, tu passasti ‘l punto al qual si traggon d’ogne parte i pesi. | Di là fosti tanto quanto io discesi; quando io mi voltai, tu attraversasti il punto verso cui si dirigono da ogni parte i pesi. |
E se’ or sotto l’emisperio giunto ch’è contraposto a quel che la gran secca coverchia, e sotto ‘l cui colmo consunto | E sei ora giunto sotto l’emisfero che è opposto a quello che la gran parte emersa ricopre, e sotto la cui sommità fu consumato |
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca; tu haï i piedi in su picciola spera che l’altra faccia fa de la Giudecca. | l’uomo che nacque e visse senza peccato; tu hai i piedi sopra una piccola sfera che forma l’altra faccia della Giudecca. |
Qui è da man, quando di là è sera; e questi, che ne fé scala col pelo, fitto è ancora sì come prim’era. | Qui è mattino, quando di là è sera; e costui, che ci fece da scala con il pelo, è ancora conficcato così come era prima. |
Da questa parte cadde giù dal cielo; e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fé del mar velo, | Da questa parte cadde giù dal cielo; e la terra, che prima sporgeva da questa parte, per paura di lui si coprì con il mare, |
e venne a l’emisperio nostro; e forse per fuggir lui lasciò qui loco vòto quella ch’appar di qua, e sù ricorse». | e venne nel nostro emisfero; e forse per sfuggirgli lasciò qui il luogo vuoto quella terra che appare di qua, e risalì in su». |
Luogo è là giù da Belzebù remoto tanto quanto la tomba si distende, che non per vista, ma per suono è noto | C’è laggiù un luogo lontano da Lucifero tanto quanto si estende la sua cavità, che non si conosce per vista, ma per un suono |
d’un ruscelletto che quivi discende per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, col corso ch’elli avvolge, e poco pende. | di un ruscelletto che lì discende attraverso la fenditura di una roccia, che esso ha eroso, con il corso che si snoda con poca pendenza. |
Lo duca e io per quel cammino ascoso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, | La mia guida ed io per quel cammino nascosto ci incamminammo per ritornare nel mondo luminoso; e senza preoccuparci di alcun riposo, |
salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo. | salimmo su, lui per primo ed io secondo, finché vidi le cose belle che porta il cielo, attraverso un’apertura rotonda. |
E quindi uscimmo a riveder le stelle. | E da lì uscimmo a rivedere le stelle. |
Canto 34 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta il culmine del viaggio dantesco attraverso il regno della dannazione eterna. Strutturalmente, il canto si compone di 139 versi che possono essere suddivisi in tre sezioni principali che scandiscono momenti narrativi essenziali.
La prima sezione (versi 1-69) si apre con le celebri parole in latino “Vexilla regis prodeunt inferni” (“Avanzano i vessilli del re dell’inferno”), parodia dell’inno liturgico che celebra la Croce di Cristo. Questo esordio introduce la maestosa e terrificante apparizione di Lucifero, immobilizzato dal petto in giù nel ghiaccio di Cocito, al centro della Giudecca, l’ultima zona del nono cerchio infernale dove sono puniti i traditori dei benefattori.
Dante, alla vista del “re del doloroso regno”, rimane sgomento al punto da non riuscire a descrivere il suo stato d’animo: “Com’io divenni allor gelato e fioco, / nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, / però ch’ogne parlar sarebbe poco”.
La descrizione fisica di Lucifero occupa gran parte della prima sezione ed è ricca di dettagli simbolici: il demonio presenta tre facce in una sola testa (rossa anteriormente, giallognola a destra e nera a sinistra), sei enormi ali da pipistrello il cui movimento genera il vento gelido che mantiene ghiacciato Cocito, e un corpo mostruoso di dimensioni inimmaginabili.
Le tre facce sono interpretate come parodia blasfema della Trinità divina, ciascuna rappresentante un aspetto antitetico alle virtù celesti: il rosso simboleggia l’odio (opposto all’amore), il giallo l’impotenza (opposta all’onnipotenza) e il nero l’ignoranza (opposta all’onniscienza divina).
La seconda sezione (versi 70-99) illustra la punizione dei tre massimi traditori della storia umana, ciascuno straziato in una delle tre bocche di Lucifero: nella bocca centrale viene eternamente masticato Giuda Iscariota, traditore di Cristo, con la testa infilata nella bocca e le gambe all’esterno; nelle bocche laterali soffrono invece Bruto e Cassio, traditori di Cesare, rappresentanti dell’autorità imperiale.
Questa triade di peccatori incarna, nella visione dantesca, il tradimento delle due massime autorità volute da Dio: quella spirituale (la Chiesa) e quella temporale (l’Impero).
Nella terza sezione (versi 100-139), Virgilio e Dante intraprendono la risalita verso l’altro emisfero attraverso un percorso inusuale: si aggrappano al corpo peloso di Lucifero e, arrivati all’altezza dell’anca del demonio, si capovolgono, invertendo letteralmente la loro direzione. Questo capovolgimento fisico avviene precisamente al centro della Terra, punto di massima gravità dell’universo, e ha un profondo significato allegorico: segna il passaggio dalla discesa infernale alla risalita verso la salvezza, dall’allontanamento da Dio al ritorno verso la sua grazia.
Durante questa fase, Virgilio spiega a Dante la cosmologia dell’universo: quando Lucifero fu scacciato dal cielo, precipitò nell’emisfero australe, allora coperto dalle terre emerse. Per fuggire da lui, queste si ritrassero nell’emisfero boreale, lasciando emergere nell’altro emisfero le acque e la montagna del Purgatorio, formata dalla terra “che si sporse” per evitare il contatto con Satana.
Il canto si chiude con i due poeti che, dopo aver attraversato un “pertugio tondo” (un’apertura circolare), emergono finalmente “a riveder le stelle”. Questa conclusione, oltre a segnare la fine della prima cantica, anticipa simbolicamente il percorso di purificazione che Dante affronterà nel Purgatorio, suggerendo che anche dalla condizione più abbietta è possibile intraprendere un cammino di redenzione.
La descrizione di Lucifero rappresenta il punto culminante della geografia morale dell’Inferno: l’antico angelo, un tempo il più bello delle creature celesti (“S’el fu sì bel com’elli è ora brutto”), è ridotto a un essere mostruoso la cui immobilità nel ghiaccio simboleggia l’antitesi della libertà divina. Il ghiaccio di Cocito, generato paradossalmente dal battito delle ali di Lucifero stesso, rappresenta l’assoluta mancanza d’amore e l’autoimprigionamento del male che, cercando di allontanarsi da Dio, finisce per condannarsi all’immobilità eterna.
Canto 34 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
Il culmine dell’Inferno dantesco è popolato da figure emblematiche che rappresentano il punto più basso dell’allontanamento da Dio. Nel canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia, tre personaggi principali dominano la scena: Lucifero, i traditori supremi e la coppia Dante-Virgilio nel loro ruolo di testimoni.
Lucifero: il re dell’abisso
L’angelo caduto appare in una visione terrificante che rappresenta l’antitesi della bellezza divina. Dante lo presenta con una descrizione minuziosa che ne sottolinea la mostruosa deformità:
- Aspetto fisico: un gigantesco mostro tricefalo, con sei ali da pipistrello che generano il vento gelido che ghiaccia Cocito
- Le tre facce: una rossa al centro (simbolo dell’odio, opposto all’amore divino), una giallognola a destra (simbolo dell’impotenza, opposta all’onnipotenza) e una nera a sinistra (simbolo dell’ignoranza, contraria all’onniscienza)
- Il corpo: dalla vita in giù è conficcato nel ghiaccio eterno di Cocito, simbolo dell’immobilità del peccato
La maestria di Dante sta nel presentare Lucifero non come una figura potente, ma come un essere degradato e immobile, parodia blasfema della Trinità. La sua bellezza originaria, ricordata nei versi “S’el fu sì bel com’elli è ora brutto” (v.34), si è trasformata in orrore, esemplificando la conseguenza estrema della ribellione a Dio.
I traditori supremi
Nelle tre bocche di Lucifero subiscono l’eterno supplizio i tre traditori più gravi dell’umanità:
- Giuda Iscariota: nella bocca centrale, con la testa dentro alle fauci e le gambe sporgenti, punito per il tradimento di Cristo, rappresentante dell’autorità spirituale
- Bruto e Cassio: rispettivamente nelle bocche destra e sinistra, puniti per il tradimento di Cesare, simbolo dell’autorità temporale
La scelta di questi tre personaggi non è casuale ma riflette la visione politico-teologica di Dante: il massimo tradimento è quello contro i due pilastri dell’ordine divino sulla terra, la Chiesa e l’Impero. Il contrappasso è evidente: chi ha tradito con la bocca (Giuda con il bacio, Bruto e Cassio con le parole) viene eternamente masticato.
Dante e Virgilio: i testimoni
In questo scenario apocalittico, Dante-personaggio e Virgilio mantengono la loro funzione narrativa e simbolica:
- Virgilio: guida razionale che mostra a Dante come riconoscere il male e superarlo; è lui che indica la via di uscita dall’Inferno attraverso il corpo stesso di Lucifero
- Dante: testimone terrorizzato ma capace di superare la prova; la sua reazione di fronte a Lucifero (“com’io divenni allor gelato e fioco” v.22) rappresenta l’umana paura di fronte all’essenza del male
Questa coppia di viaggiatori completa il suo percorso infernale proprio attraversando fisicamente il punto centrale della Terra, abbracciando Lucifero per superarlo, in un gesto carico di significato allegorico: il male deve essere riconosciuto e attraversato per poter intraprendere il cammino di purificazione.
Analisi del Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi
Il canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta il culmine del percorso di Dante attraverso i cerchi infernali e contiene un’elaborata rete di elementi tematici e narrativi che convergono in questo momento fondamentale del poema.
Il primo elemento tematico dominante è il contrasto radicale tra opposizioni cosmiche. La contrapposizione tra bene e male raggiunge qui la sua massima espressione: Lucifero, un tempo l’angelo più bello del Paradiso, appare ora come un mostro deforme, incarnazione dell’orrore e della corruzione. Questo contrasto è enfatizzato dai versi “S’el fu sì bel com’elli è ora brutto / e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia / ben dee da lui procedere ogne lutto”, dove la bellezza originaria è posta in antitesi con l’attuale mostruosità.
Parallelamente, il contrasto tra luce e oscurità sottolinea la totale assenza di Dio nel punto più remoto dell’universo, mentre l’opposizione tra calore e gelo capovolge l’usuale rappresentazione infernale: non fuoco purificatore, ma ghiaccio paralizzante che simboleggia l’assenza totale d’amore.
Il tema del capovolgimento è forse l’elemento narrativo più significativo del canto. Il capovolgimento fisico che Dante e Virgilio compiono scendendo lungo il corpo di Lucifero rappresenta una svolta esistenziale: quando Virgilio inverte la direzione del cammino, ruotando al centro della terra, si verifica un radicale cambiamento di prospettiva. L’orientamento spaziale si ribalta completamente, ciò che prima era discesa diventa salita, anticipando il percorso di risalita morale che caratterizzerà le cantiche successive.
Questa inversione non è solo fisica ma profondamente simbolica: rappresenta la conversione necessaria per iniziare il cammino di redenzione.
La narrazione del canto si sviluppa secondo una precisa progressione drammatica. Inizia con l’annuncio solenne della presenza di Lucifero (“Vexilla regis prodeunt inferni”), prosegue con la dettagliata descrizione del mostro tricefalo, si sofferma sui traditori puniti nelle sue tre bocche e culmina con il capovolgimento e l’uscita verso la luce delle stelle. Questa struttura narrativa rispecchia il viaggio spirituale di Dante: dal terrore alla speranza, dall’immobilità al movimento, dall’oscurità alla luce.
La funzione didascalica del canto è particolarmente evidente nella rappresentazione teologica del male. Lucifero non è presentato come una forza attiva e potente, ma come un essere impotente e degradato, congelato nel ghiaccio della propria malvagità. Questo riflette la concezione agostiniana del male come privazione di bene, non come entità autonoma. La punizione di Lucifero, immobilizzato nel ghiaccio con le ali che producono il vento che mantiene gelato Cocito, rappresenta il perfetto contrappasso: colui che volle elevarsi sopra Dio è ora confinato nel punto più basso dell’universo, eternamente incapace di muoversi.
Il canto funge anche da preparazione al Purgatorio: l’uscita dall’Inferno “a riveder le stelle” preannuncia il cammino di purificazione che attende il poeta. Il passaggio dall’emisfero boreale a quello australe, con l’inversione temporale che ne consegue, anticipa la nuova dimensione spirituale in cui Dante sta per entrare, segnando la transizione dalla condanna alla possibilità di salvezza, dalla giustizia alla misericordia divina.
Figure retoriche nel Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia
Il 34 canto dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta il culmine poetico del viaggio infernale di Dante e si distingue per la ricchezza di figure retoriche che amplificano la potenza espressiva del testo e il suo valore simbolico.
La parodia sacra apre il canto con l’incipit “Vexilla regis prodeunt inferni”, distorsione dell’inno liturgico quaresimale “Vexilla regis prodeunt” dedicato alla croce di Cristo. Questa citazione rovesciata crea un parallelismo blasfemo tra la regalità di Cristo e quella di Lucifero, introducendo immediatamente il tema del contrasto tra divino e demoniaco.
L’antitesi è la figura retorica dominante, impiegata per enfatizzare l’opposizione tra l’originaria natura angelica di Lucifero e la sua attuale condizione di mostruosità. Il verso “S’el fu sì bel com’elli è ora brutto” evidenzia questo contrasto, accentuando la caduta dell’angelo più bello. Altre antitesi strutturali includono i contrapposti caldo/freddo, luce/oscurità e alto/basso, che riflettono la cosmologia dantesca e il suo significato morale.
Le similitudini arricchiscono la descrizione di Lucifero, paragonato inizialmente a un “mulin che ‘l vento gira” visto nella nebbia, immagine che ne anticipa la funzione meccanica di generatore del vento infernale. Questa tecnica permette a Dante di rendere comprensibile ciò che per sua natura è mostruoso e inimmaginabile.
L’iperbole caratterizza la rappresentazione fisica di Satana, le cui dimensioni sono deliberatamente esagerate per sottolinearne la mostruosità: “La creatura ch’ebbe il bel sembiante” è ora un gigante mostruoso che sovrasta tutto l’Inferno, con dimensioni che superano quelle dei giganti stessi.
Il simbolismo cromatico delle tre facce (rossa, giallo-nera, nera) costituisce una figura retorica visiva che suggerisce l’opposizione alle tre virtù teologali o alle tre persone della Trinità, creando una parodia della perfezione divina.
Il climax struttura l’intero canto come progressione verso il punto massimo della tensione narrativa, culminando nella visione di Lucifero e nel successivo capovolgimento spaziale che segna la transizione dall’Inferno al cammino verso il Purgatorio.
Particolarmente efficace è l’uso della reticenza quando Dante, di fronte alla visione di Lucifero, afferma “Com’io divenni allor gelato e fioco, / nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo”. Questa omissione volontaria amplifica il terrore dell’esperienza, lasciando al lettore il compito di immaginare l’indicibile.
Le metafore sono frequenti, come quella delle ali di pipistrello (“Non avean penne, ma di vispistrello / era lor modo”) che sottolineano la natura notturna e ctonia di Lucifero, in contrasto con le ali piumate degli angeli.
L’ossimoro è presente nella definizione di Lucifero come “lo ‘mperador del doloroso regno”, unendo concetti contradditori come la sovranità imperiale e la miseria infernale, evidenziando la degradazione del potere luciferino.
Infine, la sineddoche appare nella descrizione dei peccatori, ridotti a parti del corpo: Giuda di cui si vedono solo “le gambe” che sporgono dalla bocca centrale, simbolo della riduzione dell’essere umano quando tradisce la propria natura divina.
Temi principali del 34 canto dell’Inferno della Divina Commedia
Nel Canto 34 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante esplora diversi temi fondamentali che rappresentano il culmine del suo viaggio attraverso il regno della dannazione e preannunciano la transizione verso il Purgatorio.
Il contrappasso emerge come principio cardine nella punizione di Lucifero e dei traditori supremi. L’angelo che volle elevarsi al di sopra di Dio è ora confinato nel punto più basso dell’universo, immobilizzato nel ghiaccio eterno. Questa immobilità rappresenta l’antitesi della libertà divina e dell’amore, principio di movimento nell’universo dantesco.
I traditori supremi sono eternamente masticati nelle tre bocche di Satana: Giuda, che tradì Cristo (autorità spirituale), e Bruto e Cassio, che tradirono Cesare (autorità temporale). Il contrappasso si manifesta nell’eternità della pena che rispecchia la gravità del tradimento verso i massimi benefattori.
Il significato teologico della rappresentazione di Lucifero costituisce un altro tema centrale. Dante lo presenta non come una forza attiva e potente, ma come un essere degradato e impotente, in linea con la visione agostiniana del male come privazione del bene.
Le tre facce di Lucifero (rossa, gialla e nera) rappresentano la parodia della Trinità divina, simboleggiando rispettivamente l’odio (opposto all’amore divino), l’impotenza (opposta all’onnipotenza) e l’ignoranza (opposta all’onniscienza). La sua mostruosa deformità fisica riflette la corruzione spirituale, dimostrando come chi si allontana da Dio perde la propria bellezza originaria.
La cosmologia dantesca trova la sua piena espressione in questo canto. La caduta di Lucifero dal cielo ha creato la voragine infernale nell’emisfero boreale e sollevato la montagna del Purgatorio in quello australe. Il centro della Terra, dove è conficcato Lucifero, rappresenta il punto di massima gravità dell’universo, ma anche il fulcro del capovolgimento necessario per iniziare la risalita.
Questa struttura fisica rispecchia una precisa concezione teologica e morale: dal punto più lontano da Dio inizia il cammino di ritorno verso il divino.
Il tema della conversione e rinascita si manifesta nel capovolgimento di Dante e Virgilio al centro della Terra. Questa inversione fisica simboleggia un capovolgimento morale e spirituale: ciò che prima era discesa diventa salita, ciò che era allontanamento da Dio diventa avvicinamento. È significativo che l’uscita dall’Inferno avvenga attraverso un “cammino ascoso” (nascosto), a simboleggiare il percorso interiore di redenzione.
La transizione dalla disperazione alla speranza culmina nei versi conclusivi, quando i poeti escono dall’Inferno “a riveder le stelle”. Questa chiusura, con la parola “stelle”, non è casuale ma rappresenta il primo segnale di speranza dopo il viaggio nei regimi della dannazione. Le stelle, simbolo dell’ordine divino, anticipano il percorso ascensionale che Dante compirà nel Purgatorio e nel Paradiso, segnando il passaggio dalle tenebre alla luce, dal peccato alla redenzione.
Il Canto 34 realizza così una perfetta sintesi dei temi morali, teologici e cosmologici che attraversano l’intera Divina Commedia, rappresentando non solo la conclusione del percorso infernale ma anche il preludio necessario alla purificazione purgatoriale.
Il Canto 34 dell’Inferno in pillole
Aspetto | Dettagli chiave | Simbolismo |
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Apertura del canto | “Vexilla regis prodeunt inferni” | Parodia dell’inno liturgico cristiano che celebra la Croce di Cristo, invertendone il significato per introdurre il re degli inferi |
Struttura del canto | 139 versi che descrivono Lucifero, i grandi traditori e l’uscita dall’Inferno | Rappresenta il culmine del viaggio infernale e il passaggio verso la redenzione |
Lucifero: aspetto fisico | Enorme mostro tricefalo con tre facce (rossa, giallo-verdastra, nera), sei ali di pipistrello che generano il vento gelido | Parodia della Trinità divina; le facce simboleggiano odio (rosso), impotenza (giallo) e ignoranza (nero), opposti all’amore, onnipotenza e onniscienza divine |
Punizione di Lucifero | Conficcato nel ghiaccio di Cocito dal petto in giù, immobile per l’eternità | Contrappasso per chi volle elevarsi sopra Dio: ora è confinato nel punto più basso dell’universo e completamente impotente |
I tre traditori supremi | Giuda Iscariota (bocca centrale), Bruto e Cassio (bocche laterali), eternamente masticati | Punizione dei traditori dei massimi benefattori: Cristo (autorità spirituale) e Cesare (autorità temporale) |
Il ghiaccio di Cocito | Lago ghiacciato che imprigiona i traditori e Lucifero stesso | Simboleggia l’assenza totale di amore e la definitiva separazione da Dio |
Capovolgimento al centro | Dante e Virgilio si capovolgono arrampicandosi sul corpo di Lucifero, passando dal centro della Terra | Rappresenta la conversione spirituale e il passaggio dall’emisfero del male a quello della redenzione |
Cosmologia dantesca | La caduta di Lucifero ha creato la voragine infernale nell’emisfero boreale e la montagna del Purgatorio in quello australe | Visione medievale dell’universo come specchio dell’ordine morale divino |
Conclusione del canto | “E quindi uscimmo a riveder le stelle” | Il verso finale segna la transizione dalla disperazione infernale alla speranza della purificazione e preannuncia il Purgatorio |