Fidanzamento e matrimonio - Studentville

Fidanzamento e matrimonio

In Roma ci si sposava molto presto: l’età minima era di dodici anni per le ragazze e quattordici per i maschi.
Di solito era il padre che sceglieva lo sposo per la figlia: più che ragioni di cuore avevano importanza molteplici considerazioni di ordine politico, morale religioso, il matrimonio era preceduto dal fidanzamento (sponsalia).Il fidanzamento pur senza imporre dei veri obblighi, veniva celebrato molto spesso in Roma.
Consisteva in un impegno reciproco che i fidanzati assumevano, con il consenso dei loro rispettivi padri, davanti ad un certo numero di parenti e di amici, dei quali gli uni intervenivano come testimoni, e gli altri si contentavano di festeggiare il banchetto cui erano stati invitati tutti e che concludeva la festa; in concreto il fidanzato consegnava alla fidanzata dei regali più o meno costosi e un anello simbolico.
Sia che fosse fatto di un cerchio di ferro rivestito in oro, o da un cerchio d’oro simile alle nostre fedi, la fidanzata aveva cura di infilarlo, seduta stante, al dito nel quale ancora oggi si porta la fede, cioè “nel dito vicino al mignolo della mano sinistra”.
Si riteneva opportuno dare l’onore di portare l’anello a questo dito perché i romani ritenevano che da quel dito partisse un nervo sottile in comunicazione con il cuore.
Nell’attesa delle nozze, la fanciulla si occupava della preparazione del corredo, provvedeva ad acquistare quei gioielli e quegli ornamenti che erano così importanti dell’eleganza femminile, sceglieva le ancelle e gli schiavi che avrebbe condotto con sé, nel nuovo domicilio coniugale.
Nel giorno stabilito per la celebrazione, la fidanzata, i cui capelli erano stati raccolti fin dalla sera prima in una reticella rossa, vestiva l’abito richiesto dall’uso: intorno al corpo una tunica senza orli (tunica recta), fermata da una cintura di lana a doppio nodo, e sopra un mantello o palla, color zafferano; ai piedi sandali della stessa tinta; intorno al collo una collana di metallo; sulla testa un velo color arancio fiammeggiante, che nascondeva pudicamente la parte alta del viso; sul velo era poggiata una corona intrecciata di maggiorana e verbena al tempo di Cesare e di Augusto e più tardi di mirto e di fiori d’arancio. La fidanzata accoglieva in mezzo ai suoi il fidanzato, la famiglia e gli amici di lui. Quando tutti erano presenti, incominciava il vero e proprio rito nuziale. Nell’atrio della casa si offriva un sacrificio agli dei immolando una pecora: se l’esame delle viscere dell’animale dava garanzia che gli dei erano favorevoli, si procedeva alla sottoscrizione del contratto di matrimonio in presenza dei testimoni; quindi la matrona che assisteva la sposa prendeva le destre dei due giovani e le poneva l’una nell’altra. Era il momento più importante della cerimonia,
in cui gli sposi esprimevano la volontà di unirsi l’uno all’altro e prendevano il solenne impegno di vivere insieme.
Seguiva un lungo e copioso banchetto che si protraeva fino a sera, quando scendevano le tenebre, la sposa doveva lasciare la sua casa, la sua famiglia; lo sposo fingeva di rapirla, strappandola alle braccia della madre.
Allora si formava un pittoresco corteo che accompagnava gli sposi verso la loro nuova dimora: avanzavano per primi i suonatori di flauto e i portatori di fiaccole, seguiva la sposa che teneva in mano il fuso e la conocchia, simboli delle sue attività domestiche, infine venivano tutti gli altri.
Si cantavano allegre canzoni, cammin facendo la schiera si ingrossava: dalle strade vicine accorrevano i fanciulli a raccogliere le noci che venivano lanciate dai componenti del corteo.
Giunta davanti alla dimora del marito, la sposa ornava la soglia con bende di lana e la ungeva con lardo e olio, lo sposo che l’attendeva sulla porta le rivolgeva la domanda di rito “Chi sei tu?” alla quale ella rispondeva: Ubi tu Gaius, ego Gaia.
Allora un giovane che faceva parte del corteo sollevava la sposa in modo che varcasse la soglia senza che i suoi piedi toccassero terra (cosa che era considerata di cattivo augurio).
Nell’atrio della sua casa il marito offriva alla sua compagna il fuoco, simbolo di Vesta, dea del focolare domestico, e l’acqua che serviva alla famiglia per tutti gli atti religiosi.
Il giorno seguente ella indossava per la prima volta le vesti matronali, e faceva un sacrificio ai Lari e ai Penati.

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