A partire circa dagli ultimi anni del 1950 si ò diffusa nella cultura francese una crescente insoddisfazione nei confronti del pensiero esistenzialistico. Il primo a farne le spese ò stato naturalmente Sartre, al quale si ò rimproverato di essere rimasto ancorato a tematiche filosofiche invecchiate, di mescolare arbitrariamente la riflessione teorica rigorosa con nozioni e comportamenti pratico-politici, di privilegiare la filosofia di contro al lavoro (ben altrimenti efficace e positivo) delle scienze. Ben presto il processo intentato all’autore di Essere e nulla ò stato allargato a tutta la tradizione ‘ufficiale’, universitaria della filosofia francese. La prima e fondamentale accusa mossa a questa tradizione ò di essere stata umanistica e coscienzialistica: di avere cioò conferito un valore eccessivo e infondato all’uomo e un rilievo altrettanto sproporzionato e fuorviante alla coscienza, col rischio di incoraggiare sviluppi interioristici e idealistici della riflessione filosofica. La seconda accusa ò quella di spiritualismo e di storicismo: la filosofia francese tradizionale avrebbe dissolto fatti, eventi e concetti determinati in un generico divenire dinamico della realtà umana, governato da rassicuranti principi e valori spirituali. La terza accusa ò quella di avere sistematicamente sottovalutato il sapere scientifico, e si tratta forse del rilievo più significativo. Ciò che più divide la tradizione umanistico-spiritualistica dai suoi critici ò infatti che questi ultimi ritengono di essere stati i soli ad aver seguito il grande lavoro teorico compiuto dalla scienza contemporanea, comprendendone a fondo certe implicazioni filosofiche. Questo riferimento alla scienza offre l’occasione per evocare quella ch’ò stata una delle maggiori figure della cultura francese del Novecento: Gaston Bachelard (1884-1962). Alcuni dei suoi libri principali sono comparsi negli anni ’30 ( soprattutto Il nuovo spirito scientifico, 1934; La formazione dello spirito scientifico, 1938). D’altra parte la sua opera ha avuto un’adeguata risonanza solo nel secondo dopoguerra – epoca nella quale egli ha pubblicato tra l’altro vari nuovi saggi di grande rilievo ( Il razionalismo applicato, 1949; Il materialismo razionale, 1953). E’ infatti a partire dagli anni ’50 che molti filosofi della nuova generazione hanno scoperto che proprio Bachelard era stato ed era il pensatore francese forse più autonomo dalla tradizione cui si ò accennato sopra, e quello più impegnato nell’elaborazione di una filosofia non ‘umanistica’ ma ‘scientifica’ decisa a liberarsi da presupposti e condizionamenti speculativi e ad analizzare le condizioni di possibilità e il modus operandi di un sapere degno di questo nome. La distanza che separa Bachelard da quella ch’egli chiamava la ” filosofia dei filosofi ” si coglie già nella polemica da lui condotta contro un pensiero per il quale l’indagine teorica sulle scienze era solo un aspetto (e spesso non il più importante) di una più ampia filosofia sistematica. Bachelard si situa su posizioni molto diverse, sottolineando l’urgenza di riabilitare ed emancipare l’epistemologia, nonchè di fornire la scienza della ” filosofia che si merita “. Da questa nuova prospettiva, assai vicina e sensibile al cammino del sapere scientifico avanzato, egli avvia una riflessione estremamente originale e innovatrice, alimentata dai risultati più aggiornati di quelli che vengono definiti i diversi “razionalismi regionali”, ossia i vari ambiti di indagine scientifica. Per Bachelard l’epistemologia deve anzitutto illuminare la vera fisionomia dell'”oggetto” della scienza e i modi in cui esso viene costituito. Da questo punto di vista il filosofo francese polemizza sia contro l’empirismo ingenuo, sia contro il razionalismo astratto. Del primo viene denunziato il culto acritico del fatto bruto; del secondo, il mito di una ragione considerata un organo ‘puro’ e autosufficiente della conoscenza. In verità , il sapere non ò nè ‘ fattualistico ‘ nè ‘razionalistico-puro’. Da un lato lo scienziato, ben lungi dal sussumere in modo immediato i dati empirici, costruisce l’oggetto della propria indagine (nella scienza, sottolinea Bachelard, ” niente ò dato, tutto ò costruito “), e elaborandolo in sede concettuale alla luce di precise coordinate teoriche (il reale in quanto oggetto di studio ” bisogna che sia ripreso in un sistema teorico “). Da un altro lato lo scienziato medesimo sa anche che la scienza ha bisogno di “complicare” e di “applicare” la ragione: quest’ultima ò certo uno strumento assai potente, ma le sue categorie e procedure si concretizzano solo in rapporto con i campi e i problemi eletti a tema di ricerca. Solo cimentandosi in una “pratica” effettiva di indagine, la ragione diventa l’ organon in grado di definire in modo efficace l’oggetto di un certo interesse cognitivo e la sua logica specifica. Inoltre la ragione scientifica ò ragione storica, nel senso che i suoi strumenti e i suoi problemi si modificano col modificarsi del contesto storico-culturale. E’ da tali premesse generali che si ò sviluppata l’intensa attività teorica di Bachelard, documentata in una numerosa serie di scritti (a quelli già indicati vanno aggiunti almeno La filosofia del no, 1940; e L’attività razionalista della fisica contemporanea, 1951) in tali opere vengono enunciati quei concetti che, uniti ai cruciali principi evocati sopra, hanno fatto di Bachelard un significativo punto di riferimento dell’epistemologia del secondo dopoguerra (almeno in area francese) e l’ispiratore di alcune componenti di fondo della filosofia dello strutturalismo. E’ il caso, in particolare, della nozione di ” ostacolo epistemologico “. Con essa Bachelard intende indicare il limite continuamente posto e superato dalla ricerca scientifica nel suo processo di approssimazione successiva alla verità : un limite (si badi) non esclusivamente fattuale ma, appunto, epistemologico – ossia costruito da un insieme di assunti che frenano la trasformazione di determinati quadri teorici e l’apertura di nuove prospettive. Il cammino del sapere coincide in larga misura con questo continuo oltrepassamento degli “ostacoli” che la conoscenza scientifica di volta in volta riconosce e che rimangono comunque sempre diffusi nella conoscenza comune. La seconda più nota figura teorica del pensiero bachelardiano ò quella di ” rottura epistemologica “., sotto molti aspetti essa pare strettamente congiunta con la nozione di “ostacolo epistemologico”. In effetti se la scienza in cammino consiste (almeno in parte) nella critica e nel superamento di determinati obstacles concettuali e nell’elaborazione di nuovi princìpi e “oggetti” d’indagine, ò evidente che il sapere progredirà non tanto in modo ‘continuistico’ (ossia secondo un movimento accrescitivo omogeneo e senza fratture) quanto in modo ‘discontinuistico’; ossia secondo salti, radicali mutamenti di rotta, vere e proprie rivoluzioni teoriche. Il principio della “rottura” epistemologica esprime appunto la centralità nella dinamica del sapere dei momenti di frattura, di modifica radicale negli assetti generali o particolari delle conoscenze scientifiche. In varie sue opere e nei manifesti programmatici della sua “epistemologia del no” Bachelard ha esaminato la vicenda di alcune di queste “rotture epistemologiche”: rotture che hanno dato luogo a una fisica non-newtoniana, a una chimica non-lavoisieriana, a una geometria non- euclidea. Occorre tuttavia sottolineare che per quanto la conoscenza proceda sempre attraverso un conflitto tra la “resistenza” costituita dalle credenze passate (e in parte presenti) e le nuove istanze cognitive – o, sotto un diverso profilo, attraverso un conflitto tra l'”errore” e la “verità ” – ò anche vero che l’errore (e con esso il passato, la tradizione) hanno per Bachelard una funzione positiva e irrinunciabile. Per l’autore della Filosofia del no non v’ò anzi scienza senza una sorta di dialettica tra errore e verità , tra ‘passato’ e ‘presente’: una dialettica che obbliga lo scienziato a un continuo processo di “problematizzazione” e di “rettificazione” disposizioni teoriche date storicamente. In tale modo la “filosofia scientifica” elaborata da Bachelard si costituisce in buona misura, sotto forma di una “storia problematica” delle scienze, volta a individuare i momenti cruciali e le discontinuità epistemologiche accertabili nell’itinerario del sapere (da tale punto di vista sarebbe interessante confrontare alcune di queste posizioni – fatte salve, ovviamente tutte le differenze – col falsificazionismo popperiano e con la teoria Kuhniana delle rivoluzioni scientifiche). La filosofia bachelardiana ò d’ispirazione fortemente razionalistica. Non si tratta certo di un razionalismo centrato sul Cogito (Hachelard si ò spesso proclamato radicalmente anti-cartesiano), o sul rigido assetto categoriale Kantiano, o tanto meno sul panlogismo dialettico-hegeliano. Si tratta invece di un razionalismo anti-soggettivistico e anti-coscienzialistico, anti- sistemizzante ed anti-riduzionistico, il quale intende promuovere una filosofia “aperta” e “pluralistica”, “sperimentale” e “applicata”. Una filosofia che valorizza non tanto la Ragione quanto le ragioni; non tanto un presunto Sapere unitario-generale quanto i saperi differenziati e ‘locali’, dotati di diverse logiche e di diversi tempi e modi di sviluppo. Una filosofia peraltro, sempre impegnata nella ricerca di possibili integrazioni, di sintesi transdisciplinari, di condizioni strutturali, di possibilità delle pratiche cognitive umane. Una filosofia, infine, decisa ad avanzare sempre di nuovo interrogazioni rigorosamente teoriche sulla natura, i fondamenti, la fisionomia dei problemi del conoscere razionale. E sarà soprattutto per questa sua vocazione teoretico-problematizzante – congiunta col proposito di trattare il saper come un “oggetto” indipendente da intenzioni, fini e significati soggettivi – che i maggiori esponenti dello strutturalismo filosofico considereranno Bachelard uno dei principali punti di riferimento del loro lavoro.
- Filosofia
- Filosofia - 1900