Storia di una Capinera - Studentville

Storia di una Capinera

Trama e analisi di Storia di una Capinera di Giovanni Verga.

Giovanni Verga: la vita e le opere

Giovanni Verga è unanimemente riconosciuto come il più grande dei nostri scrittori veristi. Nato a Catania nel 1840, vi restò fino all’età di venticinque anni, fino a quando, dopo aver interrotto gli studi di giurisprudenza per tentare la via dell’arte e dopo avere scritto i suoi primi romanzi sul modello dei romanzi storici risorgimentali (“Amore e patria”, “I carbonari della montagna”, “Sulle lagune”) si trasferì a Firenze, ove frequentò i maggiori salotti letterari e compose le sue prime opere di successo, “Una peccatrice” e “Storia di una capinera”, che risentono spiccatamente dell’influenza del secondo romanticismo, ma già rivelano la tendenza del Verga alla ricostruzione oggettiva di ambienti e personaggi. Nel 1872 si trasferì a Milano ed anche qui fu bene accolto negli ambienti culturali e dell’alta borghesia e proseguì nella sua attività di scrittore di successo e compose altri romanzi, “Eva”, “Tigre reale” ed “Eros”, nei quali persiste la volontà di compiacere al pubblico dei suoi ammiratori tardo-romantici, ma si accentua la tendenza verso una più attenta ed oggettiva analisi della psicologia umana (visibili i segni dell’influenza degli “scapigliati”) e affiora l’esigenza di scoprire un mondo umano più autentico, che fosse cioè espressione più vera dell’universo umano, un mondo in cui vivono le genuine passioni primordiali legate ai bisogni elementari della sopravvivenza e depurate delle angosce fittizie e delle lacrime false, tipiche degli ambienti borghesi intristiti ed annoiati in una vita vanamente lussuosa e profondamente viziata. Si avvertono, cioè, i primi segni del bisogno impellente di una nuova moralità personale, di una rigenerazione spirituale, che lo porterà al ripudio della vita salottiera fino allora condotta ed alla intuizione che l’umanità più vera è quella che si è lasciata alle spalle, nelle desolate terre malariche della Sicilia, quella che stenta la vita giorno dopo giorno nelle cave di pietra, nelle saline, o su di una barca sgangherata che affronta i rischi di un mare a volte spietato nella sua violenza, quasi sempre avaro dei suoi pesci. Si matura così nel Verga, a poco a poco, una sorta di redenzione, prima morale e poi poetica, lucida e consapevole, che lo porta alla cosiddetta conversione al verismo, ma che è piuttosto uno sbocco naturale della sua personalità di uomo e di artista, una riscoperta della propria umanità più pura che si era lasciata un po’ deviare dal suo corso naturale dalla suggestione dei primi successi mondani. Già un anno prima di “Tigre reale” e  di  “Eros” aveva tentato di dare una risposta alla sua più genuina vocazione scrivendo la novella “Nedda” (1874), ambientata in Sicilia ed ispirata alla poetica verista. Non tarderà a rendersi conto di aver imboccato la strada giusta proprio con questa novella che tanto si distaccava, nel motivo e nello stile, dalle sue opere precedenti, e proseguirà poi sempre per questa via, fino a quando, stanco e deluso per la scarsa considerazione tributatagli sia dal pubblico che dalla critica, deciderà di far ritorno alla sua città natale e di non scrivere più.
Il 1880 segna l’ingresso ufficiale del Verga nell’area del verismo italiano.  E’ di quest’anno, infatti, la pubblicazione della prima raccolta di novelle dichiaratamente veriste, “Vita dei campi”, tra le quali compaiono alcune fra le più famose novelle del Verga (“Cavalleria rusticana”, “Jeli il pastore”, “Rosso Malpelo”, “La lupa”, oltre a “L’amante di Gramigna”, nella cui breve prefazione traccia le linee della sua nuova poetica).

La sottile ma esplicita polemica contro il bel mondo borghese, cui appartiene la dama destinataria della lettera, mette a chiare note in luce l’inconsistenza di quel mondo e fa emergere per contrasto tutta la serietà della misera condizione della plebe del sud, che in modo naturale rappresenta la realtà drammatica della vita, ove è legge fondamentale la lotta per la sopravvivenza, ove il pesce grosso divora il piccolo: un mondo questo in cui le reazioni umane derivano direttamente dall’istinto, sono per lo più dettate dai bisogni più immediati ed elementari, da motivi, che in termini sociologici si direbbero “economici”, che sembrano espressione di egoismo e sono invece segni di una necessità non eludibile in alcun modo. E sono questi stessi motivi che tengono caparbiamente aggrappati alle scogliere del proprio mare i miseri pescatori siciliani e che li rendono così legati al loro nucleo familiare, in cui il “patto sociale” è semplificato nella norma del mutuo soccorso ed è amministrato dall’autorità del patriarca, del nonno, del “padron”, che è il depositario dell’antica primordiale “scienza” umana trasmessasi, di generazione in generazione, attraverso i proverbi popolari. Questa solidarietà, che nasce pur sempre da un bisogno di protezione reciproca, assume la dimensione di moralità perché è regolata da rigide norme di comportamento ed  è ispirata dalla  subconscia paura di essere divorati da quel pesce vorace che è il mondo esterno. L’ideale dell’ostrica che accomuna gli “umili” del Verga non nasce in loro da una conquista del pensiero, da una speculazione filosofica  di alto livello, non è frutto di una libera scelta: è una necessità dettata da una caparbia volontà di sopravvivere e fronteggiata da un istin­tivo buon senso. Le opere che seguiranno daranno appunto la rappresentazione della drammatica esistenza degli “umili” e saranno espressione di un pessimismo cupo, non riscattato da alcuna visione di vita ultraterrena, non confortato da alcuna fede religiosa, da alcuna speranza di redenzione: un pessimismo sofferto nel segno della pietà verso un mondo di diseredati che rappresentano l’aspetto più autentico dell’esistenza umana, che sono soggetti ad una “fatalità” che li costringe al ruolo di “vinti”, la cui dignità è salvata solo dall’eroica caparbietà di tirare “la vita coi denti più a lungo che potranno” e da quella sorta di “religione del focolare domestico” che li tiene uniti.

 

RIASSUNTO

La vicenda incomincia a Monte Ilice, dove la famiglia di Maria, l’educanda di un convento protagonista del romanzo, si era rifugiata per scampare all’epidemia di colera che imperversava su Catania. Anche Maria viene allora allontanata dal convento per evitare il contagio. Durante questo periodo, in cui rimarrà a vivere con la sua famiglia, si innamora di Nino, suo vicino di casa. I sentimenti che lei prova per lui sono ricambiati, ma lei non trova il coraggio di ribellarsi ai suoi familiari che l’hanno costretta a monacarsi. Passato il pericolo, ritorna a Catania, dove prende definitivamente il velo. Lei non riesce però a dimenticare il suo amore per Nino e quando le viene comunicato che lui sta per sposarsi con la sorellastra (di Maria stessa), lei diventa ogni giorno più pazza. Questa pazzia e il dolore, acuito dalla vicinanza della casa dei novelli sposi  al convento, la porterà alla morte.

 

SCELTE STILISTICO-ESPRESSIVE

Nel testo vengono spesso utilizzate espressioni di origine fiorentina, come “le davamo la berta”, o siciliana , come “un bel lepre” (lepre, in dialetto siciliano, è un sostantivo di genere maschile).

Si possono inoltre riscontrare, in larga misura, esclamazioni e interiezioni quasi costantemente presenti nel testo a rafforzare lo stato d’animo teso e agitato della protagonista; allo stesso modo le anafore o ripetizioni esprimono spesso l’ansia, l’inquietudine e il delirio di maria. verga riesce poi, con pause e accelerazioni, a riassumere molti avvenimenti in un periodo abbastanza breve.

 

FUNZIONI LINGUISTICHE

Occorre notare che Verga ha scritto questo romanzo sotto forma epistolare. Questa scelta nasce soprattutto dall’esigenza di raccontare una storia intima, di penetrare, attraverso il fitto e privato carteggio, nell’anima del protagonista evidenziandone sensazioni, sentimenti e pensieri. Verga vuole, oltre a questo ricercare un realismo che valesse ad eliminare la mediazione dello scrittore tra i personaggi del romanzo e il lettore. Pertanto, anche se questo romanzo non appartiene al periodo “verista” di Verga, possiamo notare che lo scrittore siciliano compie qui un importante passo per allontanarsi dalla prospettiva romantico-mondana dei primi romanzi.

 

Registro linguistico

L’autore usa un registro medio: egli cerca di usare un italiano di base, addomesticando il più possibile i dialettismi

 

RAPPORTO TRA FABULA E INTRECCIO

In questo testo, poichè viene seguito l’ordine cronologico degli avvenimenti, il rapporto tra fabula e intreccio è di corrispondenza. vengono però talvolta utilizzati dei flashback sull’infanzia di Maria o sulle vicende di una sua compagna di convento, dichiarata pazza perchè anche lei  costretta a monacarsi controvoglia.

 

PREVALENZA DELLE SEQUENZE

In questo romanzo prevalgono le sequenze narrative, ma ci sono anche molte sequenze riflessive. Poche invece quelle descrittive.
Esempio di sequenza narrativa: “Ieri verso il tramonto abbiamo fatto una bella passeggiata coi signori Valentini … che non corressimo tanto perchè l’erta del monte è faticosa.”
Esempio di sequenza riflessiva: “Quella predica! Quella predica! … la tentazione, il demonio!!”.
Esempio di sequenza descrittiva: “Ho riveduto quella casetta … ho pianto, e allora mi sono sentita alleggerire il cuore”.

 

TEMATICHE

La monacazione forzata: si tratta di una situazione assai frequente, soprattutto nella Sicilia di alcuni secoli fa.

L’analisi psicologica di una personalità fragile e instabile.

La tematica dell’amore passionale e romantico, che caratterizza anche altre opere verghiane, come i cosiddetti “romanzi mondani” (Eros, Tigre reale, ecc…).

La tematica della famiglia: particolarissimo il rapporto con il padre, che vorrebbe “liberare” Maria, ma non lo può, perché dipende psicologicamente dalla sua nuova moglie, matrigna di Maria. Tutto il denaro per la dote deve confluire sulla sorellastra, e quindi Maria è costretta a monacarsi.

 

PROCESSI DINAMICI NELLA VICENDA

SITUAZIONE INIZIALE: Maria si trova a Monte Ilice, dove trascorre gli ultimi momenti con la sua famiglia prima di prendere il velo. Qui possiamo notare dei miglioramenti per la protagonista, perché è lontana dal convento e dalle altre educande, ambiente in cui era costretta a vivere.

ROTTURA DELL’EQUILIBRIO: Maria si innamora di Nino

PEGGIORAMENTO: Maria lascia Monte Ilice e dice addio a Nino

APPARENTE MIGLIORAMENTO: In un primo tempo Maria crede di essersi riconciliata con Dio, e vede il suo innamoramento come un peccato di cui disfarsi

SITUAZIONE FINALE: Maria non riesce più a dimenticare Nino, anzi tutto sembra ricordarlo, lei impazzisce, almeno agli occhi delle consorelle, ed arriva a morire per il dolore

 

PERSONAGGI

Maria è priva di carattere, perché non riesce a ribellarsi al destino stabilito dalla famiglia. Del resto la mentalità dell’epoca, e le ristrettezze economiche in cui versava la sua famiglia, non sembrano darle scampo. Maria dice di volere bene a Dio, ma la sua religiosità è molto sentimentale e momentanea, pertanto non regge il confronto con il sentimento, ancora più forte, di amore per NIno.
La compagna del convento è un alter-ego di Maria. Anche lei, diventata pazza per amore, era stata rinchiusa dalle consorelle in una cella del convento.

 

TEMPO

Gli avvenimenti narrati nel testo si svolgono nell’arco di tempo di due anni, poiché la protagonista smette di scrivere per un anno (dal 30 gennaio 1855 all’ 8 febbraio 1856). Vi sono pertanto periodi di tempo di cui non sappiamo nulla (ellissi), o altri vagamente riassunti (sommarii).
La distanza tra il tempo della scrittura (1869) e il tempo della storia (1854-56) è breve.

 

SPAZIO

Ci sono molti spazi aperti all’inizio del romanzo, quando la vicenda si svolge a Monte Ilice. Troviamo invece solo spazi chiusi, sempre più chiusi, quando la protagonista torna in convento.

 

NARRATORE

Maria stessa racconta la sua vicenda, attraverso le lettere ad una sua amica. Questo stratagemma è molto significativo per un autore, come Verga, che farà del distacco tra autore e narratore una sua caratteristica nel periodo verista. In effetti Maria è autonoma e libera di poter presentare la vicenda e l’autore-Verga tende a scomparire, o a nascondersi.

 

TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE DELLE PAROLE E DEI PENSIERI DEI PERSONAGGI

Prevale il monologo interiore, una soluzione espressiva che avrà molti sviluppi nel periodo successivo (romanzo di fine ottocento, romanzo decadentista, ecc…). Sono pochi, invece, i dialoghi.

 

PUNTO DI VISTA E FOCALIZZAZIONE

Interna, poiché Maria parla di se stessa, con una prospettiva tutta personale.

 

CONFRONTI

Il confronto immediato da proporre è quello con i capitoli IX e X de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, in altre parole con la vicenda di Gertrude, la monaca di Monza. La prospettiva, però, è totalmente diversa. Mentre Manzoni crede nella possibilità, per Gertrude, di ribellarsi alle imposizioni paterne, ed, in ultima analisi, di volgere in positivo la situazione, apprezzando le gioie, nascoste ma non meno appaganti, della scelta religiosa, Verga, che è già verista, senza esserlo fino in fondo, vede nell’ambiente sociale una condanna, che Maria non può eludere con le sue scelte. Per Manzoni, in ultima analisi, Gertrude è colpevole (“la sventurata rispose”), mentre per Verga Maria è assolutamente incolpevole, come una capinera in gabbia.

 

TRASPOSIZIONE CINEMATOGRAFICA

Franco Zeffirelli ha realizzato un film tratto da questo romanzo, e che ha lo stesso titolo. In effetti, mentre vi è grande sintonia fra Verga e Zeffirelli sulla prima fase della storia, quella dell’innamoramento, vissuto in modo passionale e romantico, diversa è la piega che prendono gli eventi, una volta che Maria torna in convento. Nel film di Zeffirelli, infatti, dopo una fase di tormento inconsolabile, Maria sembra accettare alla fine, anche grazie alla sua fede, che Nino sposi la sorella, ed il film, al contrario del romanzo, non si chiude con la morte di dolore di Maria, come accade invece nel romanzo.

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