Accanto al Giardino di Epicuro e alla Stoà degli Stoici continuarono ad operare in Atene, nell’età ellenistica, l’Accademia platonica e il Peripato aristotelico. Alla morte di Aristotele nel 322 a. C. gli era successo nella direzione della scuola Teofrasto, soprannome (che in greco significherebbe ‘divino parlatore’) che gli fu attribuito dallo stesso Aristotele. In realtà Tirtamo era il vero nome di questo pensatore nato ad Ereso, nell’isola di Lesbo, verso il 370 a. C. Appartenente a famiglia benestante (il padre possedeva una ben avviata industria per la follatura dei tessuti), Teofrasto potò ben presto trasferirsi ad Atene per seguire gli studi di filosofia. Il suo primo maestro fu Platone in persona, alla cui scuola rimase fino alla morte del filosofo (347 a. c. circa); il sodalizio di Teofrasto con Aristotele iniziò poco dopo, quando i due ebbero modo di incontrarsi ad Asso o a Militene fra il 347 e il 345. Lo Stagirita ebbe subito modo di apprezzare le grandi qualità del giovane allievo e gli dimostrò la propria stima affidandogli la direzione del Peripato nel 323 a. C., quando dovette allontanarsi da Atene sotto l’infamante accusa di empietà . La medesima accusa colpì anche Teofrasto, il quale però, a differenza del maestro, non ne rimase minimamente danneggiato. Nel 318 a. C. egli dovette però abbandonare il capoluogo attico perchè un decreto impediva ai filosofi di tenervi scuola, ma l’anno successivo il decreto fu abrogato e Teofrasto potò rientrare in città e riprendere la guida del Peripato, che mantenne senza altri rilevanti incidenti fino alla sua morte, avvenuta all’incirca nel 286 a. C. E’ opportuno ricordare che, sempre nel 318, Demetrio Falareo fu posto a capo del governo di Atene e concesse a Teofrasto, che era un meteco (ovvero uno straniero non cittadino), il diritto di acquistare una proprietà come sede della scuola aristotelica. Alla sua morte, Teofrasto lasciò in eredità la biblioteca di Aristotele a Neleo, anch’egli aristotelico, che la portò con sè fuori Atene, dove rimase inaccessibile fino al I secolo a. C. Nell’arco di un’esistenza trascorsa interamente a studiare e a riflettere (sul letto di morte, ottantacinquenne, si sarebbe rammaricato di dover morire proprio quando cominciava ad imparare qualcosa), Teofrasto fu autore di circa 240 opere che spaziavano dalla morale alla politica, alla fisica, alla metafisica, alla logica, alla retorica, alla poetica, alla botanica, alla zoologia: in pratica gli stessi campi che erano stati esplorati dal maestro Aristotele. Con lo Stagirita Teofrasto condivideva vastità di interessi e un sapere altrettanto enciclopedico, pronto ad investigare su qualsiasi argomento, dal più complesso al più banale (ad esempio la meteorologia, il miele, gli odori, la vertigine, il sudore e altro ancora), sempre con la curiosità e il piglio analitico dello scienziato. Tuttavia non ò facile oggi riconoscere i concreti contributi teofrastei all’opera aristotelica pervenutaci, nè stabilire se egli sia stato soltanto uno zelante e prezioso sistematore degli scritti del maestro; certo ò che contribuì al progresso di indagini scientifiche (come quella sulla botanica) già avviate da Aristotele. Ben poco ci ò pervenuto della vasta produzione di Teofrasto: qualche centinaio di frammenti e tre opere complete, delle quali due trattano di botanica ( Ricerche sulle piante, in 9 libri, e Sulle cause delle piante, in 6 libri) e una, i Caratteri, risulta non facilmente ascrivibile ad un genere preciso. Di altri scritti possiamo formarci un’idea da estratti conservatici in via indiretta, come nel caso del trattato Sulla religiosità . Per i moderni, però, la celebrità di Teofrasto ò legata essenzialmente all’opera generalmente nota col titolo di Caratteri ( Htikoi carakthreV ) che costituisce una novità nella letteratura greca. In questa vivace e piacevole operetta sono descritte trenta particolari disposizioni (caratteri) della natura umana: 1 l’essere bugiardi, 2 l’adulazione, 3 il parlare a vanvera, 4 la rustichezza, 5 il cercare a tutti i costi di essere graditi, 6 la spudoratezza, 7 la loquacità , 8 il contare balle, 9 l’essere arraffoni, 10 la tirchieria, 11 la maleducazione, 12 l’essere inopportuni, 13 l’essere impiccioni, 14 la sventatezza, 15 la zoticheria, 16 la superstizione, 17 l’incontentabilità , 18 la diffidenza, 19 la schifezza, 20 la mancanza di tatto, 21 la vanità , 22 la taccagneria, 23 la millanteria, 24 la superbia, 25 la viltà , 26 l’essere reazionari, 27 il voler essere giovani, 28 la maldicenza, 29 la furfanteria, 30 l’avarizia. Ciascuna di queste particolari disposizioni umane si incarna in un tipo ben definito (l’adulatore, lo sfacciato, il tirchio e via discorrendo), cioò un individuo con costanti caratteristiche di comportamento. La rappresentazione di ciascun carattere segue uno schema sostanzialmente uniforme: ad una chiara e precisa definizione del tipo preso in esame, segue la sua descrizione ricavata ‘dal vivo’ tramite una vasta esemplificazione di situazioni concrete nelle quali quel carattere ha modo di rivelarsi. Lo stile col quale Teofrasto tratteggia le tante scenette di vita quotidiana ò essenziale, privo di artifici o ridondanze, tipico del distacco dello scienziato che effettua un’analisi. E da scienziato Teofrasto evita di esprimere giudizi di ordine etico sui caratteri presi in esame, facendo trasparire soltanto un’aria di sottile divertimento quando l’esemplificazione tocca momenti umoristici, come nella descrizione del rustico, che quando si trova a camminare per una strada non resta stupito da niente o da nessuno, e invece si ferma ad ammirare ogni volta che passa un bue, un asino o un caprone. L’operetta riscosse grande successo fin dall’antichità e ciò ha senz’ombra di dubbio contribuito alla sua conservazione; di essa però restano ignoti sia lo scopo sia il destinatario, nonostante i numerosi studi critici. Fra gli studi di Teofrasto sulla retorica ebbero un posto particolare, per l’influenza che esercitarono sui successivi sviluppi della disciplina, il trattato Sullo stile e la Retorica, entrambi andati perduti. In essi trova spazio la dottrina dei tre stili (sublime, umile e medio, dai latini identificati rispettivamente con quello asiano, attico e rodio) e delle 4 virtutes dicendi (così definite nel complesso da Cicerone, nell’ Orator ), consistenti nell’ ellhnismoV (la purezza dell’eloquio greco), nella safhneia (la chiarezza espressiva), nel prepon (il decoro espressivo) e nella kataskeuh (l’elaborazione). Per quel che riguarda la botanica, Teofrasto ò considerato il più grande botanico dell’antichità : in Historia Plantarum (Ricerche sulle piante) classifica le piante in alberi, frutici, suffrutici, erbe, classificando poi ulteriormente all´interno di questi grandi raggruppamenti per genere e specie; il libro IX di quest´opera va considerato come l´antenato delle materie mediche nell´ antichità classica, con il suo lungo elenco di droghe e medicinali ed annesso valore terapeutico. Nel De plantarum causis (Cause delle piante) si ammettono la generazione spontanea e la vegetazione per cause esterne, e si parla della coltura di piante utili all´economia agraria. Del De ventis spesso si ò pensato che si limitasse ad esporre le teorie di Aristotele, mentre un suo esame più approfondito suggerisce che a Teofrasto si debba una quantità di contributi nuovi e significativi: l´ operetta, con la sua opzione di favore del metodo induttivo e con il suo notevolissimo empirismo, prende significative distanze dai Meteorologica aristotelici. Importante ò anche il trattatello Sulla musica ( Peri musikhV ), conservatoci dal commentario di Porfirio alle Armonie di Tolomeo, nel quale si argomenta che le note musicali possono essere rappresentate da numeri, senza però ipotizzare nessuna relazione oggettiva fra la lunghezza d´onda delle note e la quantità del numero. Ma Teofrasto si occupò anche di logica, tanto cara ad Aristotele, e studiò la nozione di possibile e costruì una teoria dei sillogismi ipotetici, dove le premesse hanno la forma del tipo “se A ò B”. Un esempio di sillogismo totalmente ipotetico ò il seguente: se c’ò uomo, c’ò animale; se c’ò animale, c’ò sostanza; se dunque c’ò uomo, c’ò sostanza. Uno scritto di Teofrasto che ebbe grande influenza sullo sviluppo della tecnica delle discussioni filosofiche nell’antichità fu quello intitolato le Opinioni dei fisici ( in latino Physicorum placita ), di cui ci sono giunti pochi frammenti. In quest’opera Teofrasto esponeva le opinioni (in greco doxai ) dei filosofi chiamati dai moderni “presocratici” e già da Aristotele “fisici”, ovvero filosofi della natura. Da tale opera prese origine la cosiddetta letteratura dossografica antica: trattasi di repertori di opinioni raggruppate sotto temi, le quali esponevano in forma succinta le soluzioni più significative date da filosofi diversi ad un determinato problema (ad esempio, come si ò formato il mondo? Esiste la divinità ? ).
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