Il proemio dell’Iliade è l’introduzione solenne al poema epico attribuito a Omero e composto probabilmente nell’VIII secolo a.C. Si tratta di un testo breve ma denso di significato, in cui vengono anticipati i temi principali dell’opera e invocata la Musa, la divinità protettrice della poesia.
Il proemio dell’Iliade, come quello dell’Odissea e di altri poemi epici, segue una struttura tipica dell’epica antica:
- Invocazione alla Musa, che ispira il poeta nel racconto.
- Enunciazione dell’argomento, ovvero il tema centrale del poema.
- Indicazione della volontà divina, che influenza il destino degli uomini.
In questo caso, il fulcro della narrazione è l’ira di Achille, che darà origine a un susseguirsi di eventi tragici nel corso del poema.
Testo del proemio dell’Iliade
Cantami, o dea, l’ira ostinata del Pelide Achille, 1
che fu tanto funesta e recò agli Achei dolori senza fine:
spedì giù ad Ade in gran numero forti anime di prodi guerrieri,
e i loro corpi lasciava là in balia di cani e
uccellacci d’ogni sorta. Veniva così compiendosi la volontà di Zeus, 5
fin da quando si scontrarono a parole e si divisero da nemici
l’Atride signore di uomini e il divino Achille.
Ma chi degli dei li spinse a contrastare con violenza?
Fu il figlio di Latona e di Zeus. Era lui in collera con il re supremo,
e fece sorgere per il campo una pestilenza maligna, perivano via via i combattenti. 10
E la ragione fu che l’Atride non rendeva onore a Crise là sacerdote.
era venuto, questi, alle celeri navi degli Achei:
voleva liberare la sua figlia e si portava un infinito riscatto
Con la mano reggeva le sacre bende di Apollo arciere,
avvolte in cima allo scettro d’oro: e supplicava tutti gli Achei, 15
e in particolare i due Atridi, reggitori di popoli.
Diceva: «Atridi, e voi altri Achei dai buoni schinieri,
vi concedano gli dei che hanno le case sull’Olimpo,
di distruggere la città di Priamo e di far felice ritorno in patria.
Ma voi liberatemi la mia cara figlia e accettate i doni qui del riscatto, 20
per rispetto e venerazione verso il figlio di Zeus, Apollo arciere.»
Allora tutti gli altri Achei approvarono acclamando
e dicevano di aver riguardo del sacerdote e di prendere gli splendidi doni.
Ma la cosa non garbava, in fondo, all’Atride Agamennone:
anzi lo scacciava via in modo villano e gli ingiungeva con dure parole: 25
«Bada, vecchio, che non abbia più a sorprenderti nei pressi delle navi,
né oggi fermo qui ancora, né di ritorno un domani,
ti avviso: non ti gioverebbe lo scettro con la benda del dio.
Lei io non la libererò: prima, sì , le verrà addosso la vecchiaia
là nel nostro palazzo, in Argo, lontano dalla patria, 30
tra le faccende del telaio e gli incontri nel mio letto.
Ma tu vattene! Non mi irritare, se vuoi tornar sano e salvo.»
Così parlava: tremò di paura quel vecchio e ubbidiva all’ordine.
Si mosse in silenzio lungo la riva del mare rumoreggiante:
e andava allora in disparte e con fervore rivolgeva, il vegliardo,pregò 35
ad Apollo sovrano, figlio di Latona dalla bella capigliatura.
«Ascoltami, o dio dall’arco d’argento, tu che ami proteggere la città di Crisa
e la santa Cilla e regni sovrano su Tenedo,
o Sminteo, se mai ho coperto di frasche un luogo sacro che ti fosse caro;
o se mai, ricordi, ti ho bruciato grasse cosce 40
di tori e di capre, portami a compimento questo voto:
fagli scontare, ai Danai, le mie lacrime con i tuoi dardi!»
Così diceva pregando: e l’ascoltò Febo Apollo.
Scese giù dalle vette dell’Olimpo profondamente sdegnato,
tenendo a tracolla l’arco e la faretra ben chiusa. 45
Tintinnarono i dardi all’omero del dio in collera,
al suo primo muoversi: e camminava scuro, pareva la notte.
Si collocava allora distante dalle navi e scoccò una freccia:
un orrendo ronzio venne dall’arco d’argento.
Prima raggiunse i muli e i veloci cani, 50
poi sugli uomini tirava le aguzze frecce e via via li colpiva.
Sempre ardevano roghi di cadaveri – fitti fitti.
Per ben nove giorni sul campo arrivavano i dardi del dio: a
l decimo, Achille fece convocare in assemblea l’esercito intero.
Gliel’aveva suggerito la dea dalle candide braccia, Era : 55
si rattristava per i Danai a vederseli morire.
Quando si furono adunati, in piedi là in mezzo
alzandosi a loro parlò Achille piede rapido:
«Atride, ora siamo ricacciati indietro, non ci resta, penso,
che far ritorno, se pur riusciamo a sfuggire alla morte. 60
Guerra e peste insieme, lo vedi, uccidono gli Achei.
Ma via, su, interroghiamo qualche indovino o un sacerdote,
o anche un interprete di sogni – pure il sogno, si sa, viene da Zeus.
Lui saprà dirci per quale ragione Febo Apollo si è indignato tanto,
se è per dimenticanza di una preghiera che si lagna o di un sacrificio solenne. 65
Vedremo allora se gradisce l’odore e il fumo di agnelli e capre senza difetti
e vuole allontanare da noi il flagello.»
Così parlava e si metteva giù a sedere. E tra loro si alzò
Calcante figlio di Testore, il migliore senz’altro tra i vati:
egli conosceva il presente, il futuro e il passato, 70
e aveva fatto da guida alle navi degli Achei verso Ilio,
grazie alla sua arte di profeta che gli aveva concesso Febo Apollo.
Davanti a loro, da persona saggia, prese la parola e disse:
«Achille, caro a Zeus, tu vuoi che io spieghi
l’ira di Apollo, l’arciere sovrano. 75
Ebbene, io lo dirò: ma tu intendimi bene e giura
che mi verrai in soccorso prontamente a parole e a fatti.
Sì, farò infuriare, sono ben certo, un uomo che domina da forte
su tutti gli Argivi e a lui prestano gli Achei obbedienza.
È ben potente, sappiamo, un re quando va in collera con un uomo da meno: 80
e se pure, vedete, digerisce lì lì sul momento la rabbia,
poi, anche in seguito, cova dentro il suo rancore fintanto che non lo sfoga.
Tu pensaci e dimmi se sei deciso a salvaguardarmi.»
E a lui rispondeva Achille dai rapidi piedi:
«Stai di buon animo e rivela pure il responso divino che sai. 85
No, te lo assicuro in nome di Apollo caro a Zeus – e a lui, tu, Calcante,
rivolgi le preghiere e ne manifesti ai Danai i vaticini –
No, finché io vivo e ho luce negli occhi qui sulla terra,
nei pressi delle navi ti metterà addosso le mani pesanti:
nessuno tra tutti i Danai, neppure se tu intendi accennare ad Agamennone, 90
che ora si vanta di essere il primo, senza paragone, degli Achei.»
E allora prendeva coraggio l’indovino irreprensibile e parlava:
«Non per una preghiera, credete, si lagna il dio né per un sacrificio solenne,
ma è per via del sacerdote che Agamennone ha maltrattato,
e non gli ha reso libera la figlia e non ne ha gradito i doni del riscatto. 95
Ecco perché, vedete, il dio arciere ci diede dolori, e ancora ce ne darà.
E non allontanerà ve lo dico, dai Danai la brutta moria,
prima che venga restituita a suo padre la giovinetta dai vividi occhi,
senza prezzo, senza riscatto, esi conduca una sacra ecatombe
a Crisa: solo allora forse con suppliche e invocazioni lo placheremo.» 100
Così parlava e si metteva giù a sedere: e tra loro
si alzò l’eroe Atride, Agamennone dall’ampio potere.
Era torvo: gli si riempivano di rabbia le viscere tutte nere,
i suoi occhi parevano fuoco che splende.
Subito rivolse, con guardatura di minaccia, a Calcante la parola: 105
«Profeta di sventure tu sei! Mai una volta a me hai detto cosa che m’andasse a genio.
Sì, sempre ti è caro vaticinare qui dei guai,
e una parola di buon augurio mai finora l’hai pronunciata né fatta avverare.
E anche adesso in mezzo ai Danai, con aria da ispirato, vai cianciando
che il dio arciere proprio per questo, secondo te, fabbrica, a costoro, malanni: 110
perché gli splendidi doni offerti per il riscatto della giovane Criseide
io non ho voluto accettare: certo, io preferisco davvero
tenermela con me. E non ho paura a dire che mi piace più di Clitemnestra,
la legittima sposa; non è inferiore a lei né per maestà di forme e bellezza,
né per il buon senso e i lavori delle sue mani. 115
Ma anche così sono disposto a darla indietro, se proprio questo è meglio.
Voglio, per parte mia, che l’esercito sia salvo e non che perisca.
Ma voi preparate per me qui subito un premio in segno d’onore!
Così non sarò l’unico, io, tra gli Argivi, a restar senza ricompense: non è conveniente.
Lo vedete bene, credo, tutti quanti, che sorta di dono mi va via.» 120
E a lui rispondeva allora il grande Achille dai piedi gagliardi:
«Atride glorioso, il più avido sei, fra tutti qui, di possedere ricchezze!
Dillo tu: come faranno i magnanimi Achei ad assegnarti un premio?
Non ci sono più da parte, in abbondanza – che noi sappiamo – beni della comunità:
ma le spoglie che portammo via dalle città distrutte sono già spartite, 125
e non sarebbe giusto che i soldati le raccogliessero di nuovo.
Senti, tu per ora mandala libera al dio, la ragazza: e gli Achei
da parte loro ti ripagheranno il triplo e il quadruplo, quando Zeus
un giorno o l’altro ci concede di abbattere la città di Troia dalle solide mura.»
Gli rispose allora il sovrano Agamennone: 130
«No, Achille! Pur con tutta la tua prodezza, non voler derubarmi così, dentro di te!
Già con me non l’avrai vinta: è inutile che tu insista.
Ah, intendi forse che io me ne resti qui, quieto quieto, a mani vuote?
e tu intanto ti terrai il tuo premio? e m’imponi poi di restituirla, la ragazza?
E sta bene, lo farò: se gli Achei m’assegneranno 135
un altro dono d’onore che mi piaccia, di mio gusto, e procurano che sia di pregi uguali.
Se invece non me lo danno, verrò io da solo a prendermelo, il premio:
o il tuo o quello di Aiace, o mi menerò via di mia mano quello di Odisseo.
E se ne starà là con la sua rabbia chi mi vede arrivare.
Ma via, questa faccenda la potremo trattare anche dopo : 140
ora tiriamo una nave dentro il mare divino:
raduniamo i rematori che ci vogliono, imbarchiamo l’ecatombe e
facciamo salire anche la Criseide dalle belle guance!
E capo della spedizione sia un uomo di senno,
o Aiace o Idomeneo o Odisseo: 145
oppure tu, Pelide, che sei il più tremendo fra tutti quanti i guerrieri.
Così ci placherai il dio arciere compiendo i sacrifici.»
E a lui, guardandolo torvo, diceva Achille dai rapidi piedi:
«Ah, un uomo vestito di spudoratezza sei tu, che pensi solo al tuo interesse.
Come farà, mi chiedo, uno degli Achei a ubbidire volentieri ai tuoi ordini, 150
mettersi in marcia per una spedizione militare e battersi da prode contro guerrieri nemici?
Quanto a me, sapete, non venni qui a battagliare contro i Troiani valorosi:
essi non hanno, nei miei riguardi, colpe.
Mai una volta, vedete, razziarono le mie mandrie di bovini e cavalli
né a Ftia, là nella mia terra dalle larghe zolle, nutrice di eroi 155
mai saccheggiarono i raccolti e a dir il vero,
ci sono monti ombrosi e la distesa sonora del mare.
Ma dietro a te, o grande spudorato, siamo venuti, noi qui, per i tuoi comodi,
cercando un risarcimento da parte dei Troiani per Menelao e per te, faccia di cane.
Ma di questo non ti dai pensiero né ti curi! 160
E poi minacci – è il colmo – di portarmi via, proprio tu, il mio premio,
quando sopportai, per averlo, tanti travagli, e a me l’assegnarono i figli degli Achei.
E del resto non ho mai un dono uguale a te, ogni volta che gli Achei
distruggono qualche popolosa città dei Troiani.
Eppure la parte maggiore dei tanti scontri in battaglia 165
la sostengono le mie braccia. E quando viene il momento di spartire la preda,
per te, ecco, il premio è molto più grande: io invece ne ho uno piccolo sì ma caro,
e con quello me ne torno verso le navi stanco di combattere.
Ora così me ne andrò a Ftia perché, vedo, è molto meglio
far ritorno a casa con le navi: e neanche intendo restar qui 170
senza onore ad ammucchiare per te beni e ricchezze.»
Gli rispose allora Agamennone signore di guerrieri:
«Scappa pure, se hai voglia! Io non ti supplico davvero
di restare per amor mio. Accanto a me, sì, rimangono gli altri
che mi renderanno i dovuti onori – e avanti a tutti il provvido Zeus. 175
Il più odioso, te lo dico, tu mi sei tra i re nutriti da Zeus:
sempre ti è cara la lotta, sempre ti sono care guerre e battaglie.
E se poi sei molto gagliardo, è stato un dio, certo, a farti questo dono.
Ma vattene a casa con le tue navi e i tuoi compagni d’armi,
a comandare sui Mirmidoni! Di te, vedi, non mi curo, 180
e non mi do pensiero del tuo rancore. Anzi ti voglio fare qui una minaccia:
come mi porta via, Febo Apollo, la Criseide
e io la farò accompagnare con una mia nave e miei uomini –
ma mi prendo Briseide dalla guancia graziosa
andando io stesso alla tenda, il tuo dono, si, che tu sappia 185
Così saprai quanto sono più potente di te: e anche qualchedun altro
avrà ben paura a credersi mio uguale e a mettersi di fronte a me da pari a pari.»
Così parlava. E al Pelide venne dolore: e fu incerto, lì per lì, il suo cuore
dentro il petto villoso fu incerto tra due:
sfilare dal fianco la spada tagliente 190
e far indietreggiare loro là e poi uccidere l’Atride,
o se frenare la collera e contenere il suo impulso.
Mentre questo agitava nell’anima e in cuore
ed estraeva dal fodero la grossa spada, ecco arrivò Atena
dal cielo: l’aveva mandata giù la dea dalle candide braccia Era, 195
che voleva bene a tutti e due nello stesso modo e si curava di loro.
Si fermò dietro a lui e lo prese, il Pelide, per la bionda chioma:
a lui solo appariva, nessuno degli altri la scorgeva.
Fu scosso, Achille, da stupore e si voltò indietro: subito riconobbe
Pallade Atena. Terribili i suoi occhi balenarono: 200
e a lei rivolgeva parole fugaci:
«Come mai sei venuta qui ancora, o figlia di Zeus egioco?
A vedere l’arroganza senza misura di Agamennone l’Atride?
Ma una cosa ti voglio dire e si avvererà, penso:
con le sue prepotenze ben presto, una volta o l’altra, ci lascia la vita.» 205
E a lui rispose la dea dagli occhi lucenti, Atena:
«Sono venuta qui a placare il tuo sdegno, se mi vuoi dar retta:
dal cielo sono giunta. Mi mandò giù la dea Era candido braccio
che vuol bene a tutt’e due nello stesso modo e si cura di voi.
Ma via, desisti dal fare una zuffa, non tirar fuori la spada! 210
A parole, sì, rinfacciagli ingiuriosamente quanto succederà qui senz’altro.
Una cosa poi voglio dire e si avvererà di certo:
un giorno saranno a tua disposizione magnifici doni, tre volte tanti,
per via della prepotenza di oggi. Tu ora frenati e dai retta a noi!»
Le rispondeva Achille dai rapidi piedi: 215
«Devo proprio, o dea, seguire la parola di voi due,
anche se sono furibondo. Così, credo, è meglio.
Chi ubbidisce agli dei, sempre loro l’ascoltano in tutto.»
Disse: e sull’impugnatura a fregi d’argento trattenne la pesante mano,
ricacciò dentro il fodero la grossa spada e non disubbidì 220
all’ordine di Atena. E già lei se n’era andata all’Olimpo,
nella casa di Zeus egioco, in mezzo agli altri dei.
Trama del proemio e dei primi versi dell’Iliade
Dopo l’invocazione, Omero introduce il conflitto tra Achille e Agamennone, episodio chiave che avvia la narrazione dell’Iliade. La disputa nasce quando Agamennone, comandante degli Achei, rifiuta di restituire Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Per vendetta, il dio Apollo scaglia una pestilenza contro l’esercito acheo.
Achille, indignato, chiede di restituire la ragazza per placare il dio, ma Agamennone accetta solo a condizione di ricevere un altro premio. Questo porta lo stesso Achille a infuriarsi, arrivando a pensare di uccidere il re acheo. Tuttavia, la dea Atena lo trattiene, convincendolo a non agire con violenza.
La disputa si conclude con Achille che decide di ritirarsi dalla guerra, causando un punto di svolta nella trama del poema.
Analisi del proemio dell’Iliade
Il proemio dell’Iliade è di fondamentale importanza per diversi motivi:
1. Il tema dell’ira
L’elemento centrale del poema è l’ira di Achille (mênis in greco), una collera furiosa e devastante che segnerà il destino della guerra. La rabbia non è solo personale, ma ha un impatto collettivo: porta alla sofferenza degli Achei e alla morte di molti guerrieri.
2. La volontà di Zeus
La guerra non è un semplice conflitto tra uomini: il volere divino gioca un ruolo essenziale. Nel proemio si afferma che gli eventi si svolgono per realizzare il piano di Zeus, sottolineando il concetto di fato e destino, centrale nella cultura greca.
3. La figura del poeta e della Musa
Il poeta non è un narratore comune, ma un interprete ispirato dagli dei. L’invocazione alla Musa evidenzia che il racconto epico è un prodotto della volontà divina e non solo dell’abilità umana.
4. Lo stile epico
Il linguaggio del proemio è solenne e ricco di immagini potenti. L’uso di epiteti formulari (ad esempio, “Pelide Achille” o “Atride signore di uomini”) e la struttura metrica in esametri dattilici conferiscono al testo un ritmo maestoso e rituale.
5. Il contrasto tra Achille e Agamennone
L’opposizione tra i due personaggi è evidente sin dal proemio. Achille rappresenta l’eroe giovane, impulsivo e straordinariamente forte, mentre Agamennone incarna l’autorità del comando, spesso arrogante e dispotica.
Il proemio come chiave di lettura dell’Iliade
Il proemio dell’Iliade è molto più di un’introduzione: è una dichiarazione d’intenti che anticipa i temi portanti dell’opera, ovvero l’ira, il destino e il ruolo degli dei nella vita degli uomini.
Attraverso l’analisi di questi versi, è possibile comprendere non solo il significato della narrazione, ma anche la visione del mondo omerica, in cui l’uomo è al centro di un grande intreccio di passioni, guerre e volontà divine.
Lo stile elevato e solenne del proemio continua a risuonare ancora oggi, testimoniando l’immortalità dell’epica omerica e la sua capacità di raccontare le emozioni umane più profonde.
Vedi anche:
- Proemio Iliade: parafrasi e riassunto
- Il cavallo di Troia
- Personaggi Iliade: caratteristiche, nomi e descrizione
- Iliade e Odissea: differenze e analogie
- L’Iliade. La struttura, il contenuto e i personaggi