L’episodio si è verificato nel febbraio 2024 in un istituto scolastico di Palermo, dove una studentessa indossava un crocifisso rovesciato durante le lezioni. Il simbolo religioso utilizzato in modo atipico ha scatenato un confronto che ha messo in discussione i principi fondamentali della laicità nell’istruzione pubblica.
Il caso evidenzia le tensioni tra libertà di espressione religiosa e doveri professionali dei docenti, sollevando interrogativi sulle modalità di gestione delle diversità di credo negli ambienti educativi statali.
L’interazione in aula
Il confronto è iniziato quando il docente, sollecitato da una collega, ha chiesto alla studentessa se conoscesse il significato del crocifisso capovolto che indossava. L’insegnante ha suggerito di nascondere il simbolo sotto il maglione, spiegando che anche lui teneva il proprio crocifisso nascosto per non turbare gli studenti non credenti.
La situazione si è deteriorata quando il professore ha collegato il simbolo ai fatti di cronaca di Altavilla Milicia, dove una famiglia fu sterminata per presunto satanismo. La studentessa ha reagito dichiarandosi apertamente satanista e pretendendo che il docente illustrasse alla classe filosofi legati a questa corrente, accusandolo di non saper confutare le sue scelte religiose.
La valutazione della dirigente
La dirigente scolastica ha adottato una posizione netta nei confronti del comportamento del docente, identificando nell’episodio una “mortificazione” pubblica della studentessa. Secondo l’amministrazione scolastica, l’insegnante ha violato la dignità dell’alunna attraverso un confronto inappropriato che ha superato i limiti del rispetto dovuto agli studenti.
All’insegnante è stata inoltre contestata la violazione della riservatezza della studentessa, avendo condiviso i dettagli dell’episodio con una collega estranea al consiglio di classe. La dirigenza ha ritenuto tale comportamento contrario ai doveri professionali e alle norme che tutelano la privacy degli studenti nell’ambiente scolastico.
La decisione del tribunale
Il Tribunale del Lavoro di Palermo ha confermato la sanzione disciplinare, respingendo il ricorso presentato dal docente. I giudici hanno stabilito che i tre giorni di sospensione senza stipendio erano proporzionati alla gravità dell’episodio, configurando il comportamento come grave negligenza secondo il contratto nazionale degli insegnanti.
La sentenza ha evidenziato come la condotta del professore fosse contraria ai doveri professionali e al principio di laicità che deve caratterizzare l’istruzione pubblica. Il tribunale ha sottolineato che l’accostamento della studentessa a episodi criminosi di cronaca risultava “certamente offensivo e diffamatorio”.
Oltre alla conferma della sanzione disciplinare, il docente è stato condannato al pagamento delle spese legali per un totale di 3.000 euro.