I dati dell’ultimo rapporto 2023/2024 sui servizi educativi rivelano una presenza significativa di bambini stranieri: il 39,8% dei nidi e delle sezioni primavera accoglie almeno un bambino con cittadinanza non italiana. La distribuzione territoriale evidenzia però un marcato divario: al nord la percentuale sale al 49,8%, al centro si allinea alla media nazionale con il 40,8%, mentre crolla drasticamente al sud fermandosi al 18,4%.
Più inclusivi risultano i servizi pubblici, dove l’incidenza raggiunge il 57,2%, con picchi del 68,8% nelle strutture statali del Nord e del 64,4% nei servizi gestiti direttamente dagli enti locali. Decisamente inferiore la presenza nei servizi privati (29,6%), con valori particolarmente bassi nei privati non convenzionati (23%) e nelle strutture private del Mezzogiorno, dove si registra appena l’11,5%.
Le differenze territoriali nell’accesso ai servizi educativi
I dati nazionali rivelano una presenza media del 6,3% di bambini stranieri iscritti nei servizi 0-2 anni, con un significativo divario territoriale: 8,5% al nord, 6% al centro e appena 1,9% al sud. Questo squilibrio diventa ancora più evidente confrontando i tassi di frequenza: solo il 14,7% dei bambini stranieri accede ai servizi educativi per l’infanzia, contro il 33,1% dei bambini italiani.
La situazione presenta marcate differenze geografiche, con il nord che registra il 16,1%, seguito dal centro con il 15,8%, mentre il sud si ferma al 6,8%.
Il quadro cambia notevolmente nella fascia 3-5 anni. Nell’anno 2022/2023, l’84,4% dei bambini stranieri ha frequentato la scuola dell’infanzia, con una distribuzione più omogenea: 89,1% al nord, 78,2% al centro e 73,6% nel mezzogiorno. Anche in questo segmento persiste un divario rispetto ai bambini italiani (95,9%), ma risulta significativamente ridotto rispetto alla fascia 0-2 anni.
Le sfide dell’integrazione nei criteri d’accesso
I divari di partecipazione tra bambini stranieri e italiani ai servizi educativi 0-2 anni riflettono problematiche strutturali del sistema. La distribuzione disomogenea dell’offerta penalizza infatti le famiglie più vulnerabili, spesso straniere, concentrate in aree con minore disponibilità di servizi.
Un aspetto critico riguarda i criteri di accesso ai nidi comunali, dove lo status migratorio raramente costituisce elemento prioritario. Solo il 7% degli enti considera lo status di rifugiato nelle graduatorie, con appena il 5,2% che lo valuta come priorità assoluta. Ancora più marginale l’attenzione al background migratorio generale, considerato solo dall’1,8% dei comuni e mai con punteggio massimo.
Questo sistema di priorità, unito alla prevalenza di strutture private nelle regioni meridionali (dove i costi risultano spesso proibitivi), crea barriere economiche che limitano ulteriormente le possibilità di accesso per le famiglie straniere, perpetuando il ciclo di esclusione educativa fin dai primi anni di vita.