Il ministro Valditara ha recentemente dichiarato l’intenzione di promuovere percorsi formativi destinati ai docenti italiani, per diffondere nelle classi l’uso del peer tutoring, cioè l’apprendimento fra pari. L’annuncio richiama una pratica con radici storiche profonde, già sperimentata negli anni Sessanta nella scuola di Barbiana, fondata da Don Milani, figura spesso evocata nel dibattito pubblico scolastico dallo stesso Ministro.
A fornire una testimonianza diretta di quel metodo didattico è Edoardo Martinelli, ex allievo della scuola di Barbiana, che nell’intervista racconta come l’aiuto reciproco fosse una routine quotidiana, attivata ogni volta che emergevano difficoltà negli apprendimenti. Martinelli solleva però un interrogativo: il ministro ha davvero letto “Lettera a una professoressa” e il materiale prodotto dalla didattica attiva italiana, da Andrea Canevaro a Mario Lodi e Gianfranco Zavalloni?
L’iniziativa ministeriale si inserisce così in un contesto in cui la tradizione pedagogica italiana già dispone di esperienze consolidate di apprendimento cooperativo, rese operative attraverso laboratori e metodi partecipativi.
Le radici a Barbiana e l’eredità di Don Milani
A Barbiana, l’aiuto reciproco era pratica quotidiana: quando emergevano difficoltà negli apprendimenti, il gruppo interveniva attivando forme spontanee di tutoraggio tra pari. Edoardo Martinelli, ex allievo di Don Milani, richiama l’eredità della didattica attiva costruita anche da figure come Canevaro, Mario Lodi e Gianfranco Zavalloni, con cui ha strutturato laboratori scolastici fondati sull’apprendimento cooperativo.
Nella scuola di Barbiana, chi possedeva competenza specifica su un tema “saliva in cattedra” per il resto del gruppo. Le attività collegiali — lettura del giornale, discussioni serali — facevano da cornice metodologica: terminato il momento collettivo, gli studenti si dividevano in gruppi dove ciascuno poteva fungere da insegnante o allievo a seconda delle necessità.
Questa alternanza di ruoli responsabilizzava gli studenti e li inseriva in un processo di apprendimento condiviso e operativo, trasferibile oltre i confini di Barbiana.
Le pratiche di apprendimento tra pari raccontate da Martinelli
L’esempio di Luciano: inglese e latino
All’arrivo a Barbiana, Martinelli venne affidato a Luciano, studente più grande che si preparava per diventare maestro. Dopo le attività collegiali serali – lettura del giornale e discussioni – il gruppo si divideva per lavorare su competenze specifiche.
Luciano aiutava Martinelli con l’inglese in vista del viaggio estivo programmato in Inghilterra, mentre Martinelli contraccambiava supportandolo nello studio del latino. La reciprocità dell’aiuto rispondeva a obiettivi comuni e valorizzava le competenze già acquisite da ciascuno.
La testimonianza del vecchio Beppe: la guerra di trincea
Don Milani affidava la cattedra a chi aveva vissuto direttamente un’esperienza rilevante per il tema affrontato. Per far comprendere la guerra di trincea, invitò il vecchio Beppe a raccontare la chiamata alle armi e gli assalti preceduti dall’alcol per vincere la paura.
La testimonianza coinvolse emotivamente l’intero gruppo e trasformò un contenuto storico in esperienza diretta, rafforzando l’apprendimento attraverso la fonte primaria.
La ricerca sulla dispersione scolastica in Inghilterra
Durante il soggiorno in Inghilterra, Martinelli ricevette da Barbiana l’incarico di indagare la dispersione scolastica nel paese ospitante. Questo mandato dimostrò che lo studio aveva una finalità pubblica: mettere le conoscenze acquisite a disposizione della propria comunità.
Il legame con Barbiana restava operativo anche a distanza, orientando l’apprendimento verso il bene comune e la restituzione collettiva del sapere.
Le ricadute per la scuola di oggi
L’annuncio ministeriale sulla formazione al peer tutoring solleva una questione di fondo: quanto il sistema scolastico conosce davvero la propria tradizione pedagogica? Edoardo Martinelli si chiede esplicitamente se il ministro abbia letto “Lettera a una professoressa” e il vasto materiale prodotto dalla didattica attiva, citando figure come Andrea Canevaro, Mario Lodi e Gianfranco Zavalloni.
L’interrogativo non è polemico ma operativo: le pratiche di apprendimento cooperativo descritte da questi autori, e strutturate in decenni di laboratori nelle scuole, dimostrano che l’aiuto reciproco non richiede nuove invenzioni ma riconoscimento e applicazione sistematica. La proposta di Valditara potrebbe risultare efficace solo se ancorata a questa eredità consolidata, evitando di presentare come innovazione ciò che è invece parte integrante della migliore tradizione educativa italiana.