La vicenda ha origine presso un istituto comprensivo vicentino, dove uno studente tredicenne con plusdotazione cognitiva frequentava il secondo anno della scuola secondaria di primo grado. Il ragazzo, pur ottenendo votazioni sufficienti in tutte le materie (comprese tra 6 e 8), manifestava comportamenti problematici che la scuola interpretava come indisciplina.
Fin dall’inizio dell’anno scolastico 2023-2024, i genitori avevano presentato una certificazione specialistica che attestava la presenza di plusdotazione nel figlio, evidenziando come questa condizione comportasse noia e frustrazione durante le lezioni. La famiglia aveva quindi richiesto formalmente l’adozione di un Piano Didattico Personalizzato, strumento fondamentale per rispondere alle esigenze educative specifiche dello studente plusdotato.
Il mancato riconoscimento della plusdotazione
La gestione del caso da parte dell’istituto comprensivo vicentino ha evidenziato gravi lacune nella comprensione delle esigenze degli studenti plusdotati. Nonostante la certificazione specialistica presentata dai genitori attestasse chiaramente la condizione del ragazzo, la scuola ha rifiutato di predisporre il Piano Didattico Personalizzato richiesto, adducendo la necessità di indicazioni specifiche sul quoziente intellettivo – un requisito inesistente nella normativa ministeriale.
La psicologa aveva chiaramente spiegato come la plusdotazione comportasse noia e frustrazione durante le lezioni, generando comportamenti disturbanti. Tuttavia, il Consiglio di Classe ha risposto con misure punitive, escludendo il minore dalla corsa campestre e dalle uscite didattiche, ignorando completamente il legame tra i comportamenti problematici e la sua condizione neuropsicologica non supportata adeguatamente.
La sentenza TAR e le implicazioni didattiche
Il TAR del Veneto ha accolto il ricorso dei genitori, riconoscendo una disparità di trattamento nei confronti del minore e identificando gravi errori procedurali nella gestione del caso. I giudici hanno stabilito che il rifiuto di predisporre un Piano Didattico Personalizzato, basato su motivazioni prive di fondamento normativo, costituisce una violazione dei diritti dell’alunno con bisogni educativi speciali.
La decisione evidenzia un aspetto cruciale dal punto di vista pedagogico: la bocciatura di uno studente plusdotato senza insufficienze comporterebbe la ripetizione di contenuti già appresi, aggravando quella condizione di “noia” che genera comportamenti problematici. La sentenza sottolinea come tale meccanismo rischi di amplificare le condotte devianti senza offrire soluzioni educative efficaci, tradendo la missione formativa della scuola e compromettendo il percorso di crescita dell’alunno.