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Yes YOU can, Obama!

L?America ha scelto: il 47enne candidato democratico batte McCain e diventa il primo presidente afroamericano della storia statunitense. La vita, gli errori di gioventù, la scalata alla Casa Bianca, il personaggio: tutto su Barack.

Barack Obama con la moglie Michelle e le figlie“The change has come to America”: chissà quante volte Barack Obama avrà sognato di pronunciare queste parole, una frase di grande impatto che racchiude in sé un significato storico per gli Stati Uniti d’America. Sì, il cambiamento è arrivato, il quarantasettenne candidato democratico supera John McCain e diventa il nuovo presidente americano, il primo di colore della storia a stelle e strisce. Il suo nome è destinato, a prescindere dalle sue scelte governative, dalla sua politica, dal suo operato alla Casa Bianca, a rimanere impresso nella memoria come quello di Washington, di Lincoln, di Roosvelt, Kennedy o Nixon. Il quarantaquattresimo eletto segna una svolta nella storia delle presidenziali americane, non solo per il colore della sua pelle ma anche e soprattutto per ciò che Obama è riuscito a suscitare nel popolo, dando vita a ciò che è stato prontamente ribattezzato il “movimento Obama”.

La vita
Barack Hussein Obama nasce a Honolulu nelle Isole Hawaii il 4 Agosto 1961 da padre africano, Barack Hussein Obama Sr., originario del Kenya,e da madre americana, Ann Dunham, una donna bianca del Kansas. Trascorre l’infanzia tra le Hawaii e l’Indonesia, terra natia del secondo marito di Ann, conoscendo così le condizioni terribili del Terzo Mondo, tra poverà, malattie ed elemosina. Cresce poi, alla rottura del secondo matrimonio della madre, sotto la protezione dei nonni materni: il padre è una figura assente nella sua giovinezza, lo incontrerà solo una volta, all’età di 10 anni, fino alla morte in un incidente stradale nel 1982. Nel suo libro “Dreams from my father”, Barack racconta la sua infanzia e il rapporto difficile con la figura paterna, conosciuta solo attraverso foto e racconti: “Che mio padre non sembrava per nulla come le persone a fianco a me, che era nero come la pece, mentre mia madre bianca come il latte, non ci feci neppure caso”. Gli interessi del giovane Obama sono il surf e soprattutto il basket: Barry, come veniva affettuosamente chiamato da amici e parenti, era un ottimo giocatore alle High School, e il suo idolo era il leggendario Julius Erving. “E’ sul campo da basket che ho stretto amicizia con i miei compagni bianchi – scrive Obama – lì essere di colore può non essere uno svantaggio”. Ma Obama non nasconde neanche il suo utilizzo di marijuana e cocaina durante l’adolescenza per “togliermi dalla testa la domanda su chi fossi”.
Obama ai tempi di HarvardEffettua gli studi nelle più prestigiose università americane, laureandosi in Scienze Politiche con specializzazione in relazioni internazionali alla Columbia University, e in Giurisprudenza ad Harvard, diventando nel 1990 il primo presidente afroamericano della celebre rivista Harvard Law Review. Nel ’92 sposa Michelle, con la quale avrà due figlie, Malia (nata nel 1998) e Natasha (2001). Si trasferisce poi a Chicago, dove già era stato per qualche anno a metà degli anni ’80, dove insegnerà Diritto costituzionale all’Università di Chicago fino alla sua elezione al Senato nel 2004.
L’ascesa politica
L’impegno politico di Barack ebbe inizio nel 1992 quando aiutò il futuro presidente Bill Clinton nelle elezioni presidenziali portando in dote, con un’aggressiva campagna elettorale, oltre 100mila voti. Nel 1996 viene eletto Senatore dell’Illinois e nel 2000 tenta una prima scalata al partito democratico, candidandosi alle primarie che avrebbero dovuto decretare il rappresentante congressuale per l’Illinois, ma viene sconfitto da Bobby Rush. Nel 2004 Obama trionfa in Illinois nelle elezioni per decidere il nuovo rappresentante al Congresso degli Stati Uniti guadagnandosi un posto al Senato Federale. Ottiene notorietà a livello nazionale pronunciando nello stesso anno il discorso introduttivo alla Convention democratica. L’attenzione dei media verso un personaggio di “rottura” come Barack comincia a crescere esponenzialmente nei mesi successivi: il Time nel 2005 lo definisce “uno dei politici più ammirati d’America”, inserendolo nei cento personaggi più influenti del mondo, mentre il New Statesman, una rivista britannica, lo nomina tra “i 10 personaggi che possono cambiare il mondo”. Spunta così l’ipotesi di una sua candidatura alle presidenziali in programma nel 2008, caldeggiata dall’opinione pubblica e da molti politici, ma Obama sembra inizialmente non aver intenzione di entrare in corsa per la Casa Bianca, affermando di voler concludere il suo mandato di senatore, che scade nel 2010. Il 10 Febbraio 2007 però Barack annuncia la sua candidatura a Springfield, nell’Illinois: una location simbolica, la stessa in cui Abramo Lincoln effettuò il suo storico discorso “House Divided”, nel 1858. Il resto è storia recente: il 7 giugno, superando la concorrenza di Hillary Clinton, diviene ufficialmente il primo afroamericano in corsa per la Casa Bianca.
Il "movimento Obama"
Un'immagine eloquente del grande appeal di ObamaDa “Yes, we can” all’inflazionatissimo “Change”, dalle magliette con il suo volto ai numerosi siti internet di sostegno alla sua campagna, da MySpace a Facebook, dalle grandi star di Hollywood e della musica alla gente comune: mai nessun candidato era riuscito a creare un seguito di sostenitori così numeroso e orgoglioso di esprimere la propria preferenza. Il voto ad Obama è quasi accostabile ad un fenomeno di costume: come una rockstar, Barack ha fatto breccia nei giovani, che hanno costituito il vero segreto della sua vittoria. La straordinaria esposizione mediatica ha diffuso la “moda Obama”, che ha accompagnato questi mesi di campagna elettorale. Il candidato afroamericano ha ricevuto da solo più finanziamenti da parte di privati rispetto alla coppia Bush-Kerr alle ultime presidenziali: un dato significativo, impressionante, che ha reso possibile la grande strategia propagandistica attuata dal neopresidente e dal suo team. Adesso Obama è chiamato a dimostrare che il “cambiamento” sarà reale e che non è tutto un bluff, come accusano i detrattori: d’altronde come lui stesso ha dichiarato nel discorso al Grant Park di Chicago la sua elezione “è la prova che l’America è il paese in cui tutto può accadere”.
Simone Gambino

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