Il 5 Canto dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta uno dei passaggi più celebri e toccanti dell’intera opera di Dante Alighieri. La fama di questo canto è legata principalmente all’episodio di Paolo e Francesca, una delle storie d’amore più tragiche della letteratura mondiale, che continua a commuovere i lettori a distanza di sette secoli.
Indice:
- Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia: testo integrale e parafrasi
- Canto 5 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 5 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia
- Temi principali del 5 Canto della Divina Commedia
- Il Canto 5 dell’Inferno in pillole
Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia: testo integrale e parafrasi
Per una comprensione più approfondita dell’opera, ecco il testo integrale del canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia.
Testo | Parafrasi |
---|---|
Così discesi del cerchio primaio | E così scesi dal primo cerchio |
giù nel secondo, che men loco cinghia | giù nel secondo, che racchiude meno spazio, |
e tanto più dolor, che punge a guaio. | ma aumenta le sofferenze che fanno disperare i dannati. |
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: | Si erge tremendo Minòs e minaccia ringhiando: |
essamina le colpe ne l’intrata; | esamina le colpe dei dannati all’ingresso; |
giudica e manda secondo ch’avvinghia. | le valuta e condanna avvolgendo la coda. |
Dico che quando l’anima mal nata | Voglio dire che quando il dannato |
li vien dinanzi, tutta si confessa; | gli arriva davanti, confessa tutte le sue colpe; |
e quel conoscitor de le peccata | e lui, giudice dei peccati, |
vede qual loco d’inferno è da essa; | conosce il luogo dell’Inferno a lui destinato; |
cignesi con la coda tante volte | e si avvolge il corpo con la coda in tanti giri quanti sono |
quantunque gradi vuol che giù sia messa. | i cerchi che l’anima deve percorrere per arrivare al proprio. |
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: | Ci sono sempre molte anime davanti a lui: |
vanno a vicenda ciascuna al giudizio, | si recano una alla volta verso il suo giudizio, si confessano |
dicono e odono e poi son giù volte. | e ascoltano la sua sentenza e poi sono buttate nella voragine. |
«O tu che vieni al doloroso ospizio», | «O tu, che sei giunto alla dimora del dolore», |
disse Minòs a me quando mi vide, | mi disse Minòs dopo avermi visto, |
lasciando l’atto di cotanto offizio, | interrompendo così il suo compito importante, |
«guarda com’entri e di cui tu ti fide; | «guardati attentamente intorno e a chi ti sei affidato; |
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». | non farti ingannare dalla larghezza dell’entrata di questo luogo». |
E ‘l duca mio a lui: «Perché pur gride? | E la mia guida gli rispose: «Perché continui a gridare? |
Non impedir lo suo fatale andare: | Non ostacolare il suo viaggio inevitabile: |
vuolsi così colà dove si puote | così si vuole nel luogo in cui si può fare |
ciò che si vuole, e più non dimandare». | ciò che si vuole, e non chiedere altro». |
Or incomincian le dolenti note | Ora comincio a sentire le grida dolorose; |
a farmisi sentire; or son venuto | ora sono arrivato nel luogo |
là dove molto pianto mi percuote. | in cui il pianto mi scuote. |
Io venni in loco d’ogne luce muto, | Arrivai in un luogo senza luce, |
che mugghia come fa mar per tempesta, | che strepitava come fa il mare in tempesta, |
se da contrari venti è combattuto. | quando è attraversato da venti contrari. |
La bufera infernal, che mai non resta, | Il turbine infernale, che non si ferma mai, |
mena li spirti con la sua rapina; | trascina gli spiriti con la sua forza; |
voltando e percotendo li molesta. | li tormenta, li rivolta e li colpisce. |
Quando giungon davanti a la ruina, | Quando gli spiriti arrivano di fronte alla rovina, |
quivi le strida, il compianto, il lamento; | qui gridano, piangono e si lamentano di più; |
bestemmian quivi la virtù divina. | e qui bestemmiano la salvezza a loro non concessa. |
Intesi ch’a così fatto tormento | Capii che a tale tormento |
enno dannati i peccator carnali, | sono condannati i peccatori della carne, |
che la ragion sommettono al talento. | i quali sottomettono la propria ragione alla passione. |
E come li stornei ne portan l’ali | E come gli stornelli volano |
nel freddo tempo, a schiera larga e piena, | nella stagione fredda, in stormi grandi e fitti, |
così quel fiato li spiriti mali | allo stesso modo quel vento i dannati |
di qua, di là, di giù, di sù li mena; | trascina in tutte le direzioni; |
nulla speranza li conforta mai, | e nessuna speranza mai li consola, |
non che di posa, ma di minor pena. | non di riposo, ma anche di un momentaneo addolcirsi della pena. |
E come i gru van cantando lor lai, | E come le gru cantano i loro lamenti, |
facendo in aere di sé lunga riga, | volando in una lunga fila nel cielo, |
così vid’io venir, traendo guai, | vidi allo stesso modo arrivare, emettendo suoni di pianto, |
ombre portate da la detta briga; | anime schierate così dalla stessa tempesta |
per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle | per cui dissi: «Virgilio, chi sono questi |
genti che l’aura nera sì gastiga?». | spiriti che la buia tormenta punisce in questo modo?» |
«La prima di color di cui novelle | «La prima tra quelle anime |
tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, | di cui chiedi notizie», mi disse egli allora, |
«fu imperadrice di molte favelle. | «regnò su molti popoli. |
A vizio di lussuria fu sì rotta, | Fu a tal punto corrotta dal vizio della carne, |
che libito fé licito in sua legge, | che rese legale ciò che a ciascuno piaceva, |
per tòrre il biasmo in che era condotta. | per evitare il disprezzo in cui poteva cadere. |
Ell’è Semiramìs, di cui si legge | Ella è Semiramide, della quale si racconta |
che succedette a Nino e fu sua sposa: | che ereditò il regno da Nino e ne fu la moglie: |
tenne la terra che ‘l Soldan corregge. | governò il regno che oggi regge il Soldano. |
L’altra è colei che s’ancise amorosa, | Quest’altra è colei che si uccise per amore, |
e ruppe fede al cener di Sicheo; | e non fu fedele alla tomba di Sicheo; |
poi è Cleopatràs lussurïosa. | segue poi la lasciva Cleopatra. |
Elena vedi, per cui tanto reo | Guarda Elena, per la quale tanto tempo |
tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille, | la colpevole guerra durò, e guarda il grande Achille, |
che con amore al fine combatteo. | che combatté per amore. |
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille | Guarda Paride e Tristano»; e tantissime |
ombre mostrommi e nominommi a dito, | anime mi mostrò e mi indicò e nominò, |
ch’amor di nostra vita dipartille. | che la passione strappò alla vita terrena. |
Poscia ch’io ebbi ‘l mio dottore udito | Dopo aver ascoltato la mia guida |
nomar le donne antiche e ‘ cavalieri, | citare le donne del passato e i loro amanti, |
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. | fui pervaso da un sentimento di pietà tale, che ne restai confuso. |
I’ cominciai: «Poeta, volontieri | Cominciai a dire: «Virgilio, con piacere |
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno, | converserei con quelle due anime che procedono congiunte, |
e paion sì al vento esser leggieri». | e sembrano così tanto leggiadre nella bufera». |
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno | Ed egli a me: «Quando questi saranno più vicini a noi |
più presso a noi; e tu allor li prega | potrai parlare loro; e in quel momento li pregherai di avvicinarsi, |
per quello amor che i mena, ed ei verranno». | in nome di quell’amore che li conduce, ed essi si avvicineranno». |
Sì tosto come il vento a noi li piega, | Veloce come il vento che a noi li avvicinava, |
mossi la voce: «O anime affannate, | parlai: «O spiriti affannosi, |
venite a noi parlar, s’altri nol niega!». | scendete a parlarci, se Dio non lo impedisce!». |
Quali colombe dal disio chiamate | Come colombe richiamate dal desiderio |
con l’ali alzate e ferme al dolce nido | che con le ali distese volano nell’aria |
vegnon per l’aere, dal voler portate; | all’amorevole nido, guidate dalla volontà; |
cotali uscir de la schiera ov’è Dido, | così questi uscirono fuori dalla fila di Didone, |
a noi venendo per l’aere maligno, | avvicinandosi a noi attraverso l’aria infernale, |
sì forte fu l’affettuoso grido. | a tal punto risuonò la forza del mio richiamo benigno. |
«O animal grazïoso e benigno | «O uomo vivo, degno di grazia e benevolo |
che visitando vai per l’aere perso | che fai visita nel luogo perduto |
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, | a noi anime che abbiamo macchiato il mondo col sangue, |
se fosse amico il re de l’universo, | se Dio non fosse a noi contrario, |
noi pregheremmo lui de la tua pace, | rivolgeremmo a lui delle preghiere per la tua salvezza, |
poi c’hai pietà del nostro mal perverso. | perché mostri pietà verso il nostro peccato. |
Di quel che udire e che parlar vi piace, | Di quelle cose che a voi interesserà ascoltare e discutere, |
noi udiremo e parleremo a voi, | noi ascolteremo e discuteremo con voi, |
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace. | fin tanto che la bufera infernale, come fa ora, qui si placa. |
Siede la terra dove nata fui | La città in cui sono nata è posta |
su la marina dove ‘l Po discende | sulle rive del mare nel punto in cui il Po scende |
per aver pace co’ seguaci sui. | per sfociare coi suoi affluenti. |
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, | Amore, che nel cuore nobile svelto si accende, |
prese costui de la bella persona | colse costui Paolo per la mia bellezza, |
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. | che in seguito mi venne strappata; e il modo ancora mi vince. |
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, | Amore, che non tollera che chi è amato non ami a sua volta, |
mi prese del costui piacer sì forte, | mi rapì della bellezza di questi Paolo in modo così potente, |
che, come vedi, ancor non m’abbandona. | che, come vedi, ancora lo amo. |
Amor condusse noi ad una morte. | Amore ci portò entrambi ad un’unica morte. |
Caina attende chi a vita ci spense». | Caina è in attesa di colui che ci uccise». |
Queste parole da lor ci fuor porte. | Queste parole le anime ci riferirono. |
Quand’io intesi quell’anime offense, | Quando compresi la causa della loro dannazione, |
chinai il viso, e tanto il tenni basso, | abbassai lo sguardo e restai a lungo pensoso, |
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?». | finché Virgilio mi chiese: «A cosa pensi?». |
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, | Quando gli risposi, dissi: «Povero me, |
quanti dolci pensier, quanto disio | quanti soavi pensieri, quanto desiderio |
menò costoro al doloroso passo!». | portò questi amanti all’Inferno!» |
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, | Poi mi rivolsi a loro e parlando |
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri | dissi: « Francesca, le tue sofferenze |
a lagrimar mi fanno tristo e pio. | mi fanno lacrimare di tristezza e di pietà. |
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, | Ma ti prego di raccontarmi: nel tempo in cui ci si innamora, |
a che e come concedette amore | in che modo amore vi concesse |
che conosceste i dubbiosi disiri?». | di comprendere i vostri desideri nascosti?». |
E quella a me: «Nessun maggior dolore | Ed ella mi rispose: «Non esiste sofferenza più grande |
che ricordarsi del tempo felice | del ricordare quando si era felici |
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore. | nel tempo della miseria; e questo lo sa bene la tua guida. |
Ma s’a conoscer la prima radice | Ma se di sapere l’origine |
del nostro amor tu hai cotanto affetto, | del nostro amore tu hai così tanto desiderio |
dirò come colui che piange e dice. | te lo racconterò piangendo. |
Noi leggiavamo un giorno per diletto | Un giorno noi leggevamo per divertimento |
di Lancialotto come amor lo strinse; | di Lancillotto e del suo amore; |
soli eravamo e sanza alcun sospetto. | eravamo soli e ci sentivamo innocenti. |
Per più fïate li occhi ci sospinse | Più volte ci attirò lo sguardo |
quella lettura, e scolorocci il viso; | quella lettura, e ci fece impallidire; |
ma solo un punto fu quel che ci vinse. | ma solo un punto fu quello che ci sconfisse. |
Quando leggemmo il disïato riso | Quando leggemmo che la bocca desiderata |
esser basciato da cotanto amante, | veniva baciata da quel famoso amante, |
questi, che mai da me non fia diviso, | costui, che mai sia diviso da me, |
la bocca mi basciò tutto tremante. | mi baciò la bocca, tremando in ogni sua parte. |
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: | Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: |
quel giorno più non vi leggemmo avante». | quel giorno noi non vi leggemmo oltre». |
Mentre che l’uno spirto questo disse, | Mentre una delle due anime ciò raccontava, |
l’altro piangëa; sì che di pietade | l’altra piangeva; così che per la pietà |
io venni men così com’io morisse. | io mi sentii mancare, come se morissi. |
E caddi come corpo morto cade. | E caddi come cade un corpo che muore. |
Canto 5 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Dante e Virgilio, dopo aver attraversato il Limbo, giungono al secondo cerchio dell’Inferno, dove incontrano il giudice Minosse, figura mitologica rappresentata come un demone mostruoso. Questo custode esamina i peccati delle anime che arrivano davanti a lui e, avvolgendosi la coda intorno al corpo un numero di volte corrispondente al cerchio a cui sono destinate, stabilisce la loro collocazione eterna:
“Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: / esamina le colpe ne l’intrata; / giudica e manda secondo ch’avvinghia.”
Virgilio, di fronte a Minosse che tenta di fermarli, pronuncia le parole rituali che permetteranno loro di proseguire il viaggio: “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”. Questo riferimento alla volontà divina ricorda al lettore che il viaggio di Dante è voluto da Dio e quindi nessun ostacolo può impedirlo.
Nel secondo cerchio sono puniti i lussuriosi, coloro che hanno peccato di incontinenza amorosa. La loro pena, esempio perfetto di contrappasso, consiste nell’essere eternamente trascinati da una violenta tempesta, una “bufera infernal che mai non resta”. Come in vita si lasciarono trasportare dalla tempesta delle passioni, così nell’aldilà sono sballottati senza posa da una bufera senza fine:
“La bufera infernal, che mai non resta, / mena li spirti con la sua rapina; / voltando e percotendo li molesta.”
La scena è resa con straordinaria potenza visiva: le anime volano nell’aria come stormi di uccelli in preda alla tempesta, lanciando grida e lamenti, senza alcuna possibilità di trovare riposo. La similitudine con gli storni in volo (“E come li stornei ne portan l’ali /nel freddo tempo, a schiera larga e piena”) rende immediatamente percepibile il movimento caotico e incontrollabile delle anime travolte dalla bufera.
Dante osserva con attenzione le anime dei dannati e Virgilio, rispondendo alle sue domande, gli indica alcuni personaggi storici e mitologici famosi per la loro lussuria: Semiramide, regina di Assiria accusata di incesto e di aver legalizzato ogni tipo di libidine; Didone, regina di Cartagine che si uccise per amore di Enea; Cleopatra, regina d’Egitto; Elena di Troia, la cui bellezza scatenò la guerra di Troia; Achille, eroe greco; Paride, principe troiano; e Tristano, cavaliere della Tavola Rotonda.
Questa enumerazione di personaggi storici e letterari ha lo scopo di evidenziare come la lussuria possa colpire chiunque, indipendentemente dal rango sociale o dalla provenienza. Il catalogo include figure sia maschili che femminili, personaggi della storia antica e della letteratura medievale, creando così un ponte tra diverse epoche e culture.
L’attenzione di Dante viene poi catturata da due anime che volano insieme, particolarmente leggere nella bufera: sono Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Colpito dalla loro condizione, Dante li invita a parlare e Francesca, commossa dall’interessamento del poeta, racconta la loro tragica storia d’amore.
Francesca narra di come la lettura di un romanzo cavalleresco che raccontava l’amore tra Lancillotto e Ginevra li portò a cedere alla passione. La donna spiega che, mentre leggevano del bacio tra i due amanti letterari, Paolo la baciò, suggellando così il loro amore proibito: “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante.”
Questa scena rappresenta il culmine emotivo del canto. Il racconto di Francesca colpisce profondamente Dante, che sviene per la commozione: “E caddi come corpo morto cade.” Questo svenimento è significativo e mostra la profonda empatia del poeta per i dannati, nonostante la sua adesione ai principi morali cristiani che condannano il loro peccato.
Il quinto canto si configura così come una potente riflessione sulla natura dell’amore e sul conflitto tra passione e ragione. La compassione di Dante per Paolo e Francesca suggerisce una comprensione umana del peccato di lussuria, pur all’interno di un sistema morale che lo condanna. Il contrappasso rappresentato dalla bufera eterna simboleggia perfettamente il tormento di chi, in vita, si è lasciato trascinare dalle passioni senza il controllo della ragione, continuando nell’aldilà a essere in balia di forze incontrollabili.
Canto 5 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
Nel secondo cerchio dell’Inferno incontriamo figure emblematiche che raccontano la storia della lussuria attraverso i secoli e le culture. I personaggi di questo canto rappresentano diverse sfaccettature della passione carnale e contribuiscono a creare un quadro articolato del peccato punito in questa sezione infernale.
Minosse: il giudice infernale
All’ingresso del secondo cerchio troviamo Minosse, mostruosa figura mitologica trasformata da Dante in demone giudicante. Descritto come una creatura terrificante che “orribilmente ringhia”, Minosse svolge la funzione di giudice delle anime dannate. Con la sua lunga coda avvolta intorno al corpo, indica il cerchio a cui ogni anima è destinata. Il numero dei giri della coda corrisponde al livello infernale in cui il peccatore dovrà scontare la propria pena eterna.
La trasformazione del leggendario re di Creta in demone mostruoso riflette la concezione dantesca di rielaborazione della mitologia classica in chiave cristiana, dove le figure pagane diventano simboli del male o strumenti della giustizia divina.
Le anime illustri dei lussuriosi
Dante elenca alcuni celebri personaggi storici e mitologici condannati per lussuria:
- Semiramide, regina assira nota per la sua dissolutezza, che rese “licito in sua legge” quanto le piaceva
- Didone, regina di Cartagine che si suicidò per amore di Enea
- Cleopatra, regina d’Egitto, “lussuriosa” nelle descrizioni medievali
- Elena di Troia, la cui bellezza causò la guerra di Troia
- Achille, l’eroe greco morto per amore di Polissena
- Paride, principe troiano rapitore di Elena
- Tristano, cavaliere della tavola rotonda innamorato di Isotta
Questa rassegna di anime illustri mostra come la passione amorosa possa travolgere persone di ogni epoca e rango sociale, senza distinzione tra figure storiche e letterarie, sottolineando l’universalità del peccato di lussuria.
Paolo e Francesca: il culmine emotivo
Il culmine del canto 5 dell’inferno della Divina Commedia è rappresentato dall’incontro con Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, protagonisti di una tragica vicenda di amore adulterino. Francesca, donna colta e sensibile, era stata data in sposa a Gianciotto Malatesta, uomo descritto come deforme e brutale, ma si innamorò del cognato Paolo.
Francesca domina la scena con il suo eloquente racconto. La sua voce è l’unica che si alza nella bufera infernale, mentre Paolo resta silenzioso, comunicando solo attraverso il pianto. Questa caratterizzazione contribuisce a rendere la figura femminile particolarmente memorabile e complessa.
Il personaggio di Francesca rappresenta la quintessenza del conflitto dantesco tra la condanna teologica del peccato e la comprensione umana della fragilità delle passioni. La sua capacità di suscitare pietà in Dante, fino a farlo svenire, mostra la profonda tensione tra giustizia divina e sentimento umano che caratterizza l’intera Commedia.
Analisi del Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi
Il Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta uno snodo cruciale nell’architettura narrativa della prima cantica. Questo canto segna l’incontro di Dante con anime punite per un peccato che nasce da un sentimento umano universale: l’amore che, distorto dalla lussuria, diventa causa di dannazione eterna.
La giustizia divina e il contrappasso
Il principio del contrappasso, cardine della giustizia divina nell’Inferno dantesco, trova nel Canto V una delle sue espressioni più perfette. I lussuriosi, che in vita si lasciarono trasportare dalla tempesta delle passioni, sono ora eternamente sbattuti da una bufera violenta che non concede loro riposo. Questo rispecchiamento della colpa nella pena non è solo punitivo ma anche didattico, poiché rende visibile e comprensibile la natura del peccato.
La gradualità della colpa
L’organizzazione gerarchica dell’Inferno posiziona i lussuriosi nel secondo cerchio, subito dopo il Limbo. Questa collocazione rivela la concezione dantesca della gravità relativa dei peccati: la lussuria, pur meritando punizione eterna, è considerata tra i peccati meno gravi poiché nasce da un istinto naturale pervertito, non da malizia deliberata.
L’incontro con Paolo e Francesca: culmine narrativo ed emotivo
L’episodio di Paolo e Francesca costituisce il culmine narrativo del canto e uno dei momenti più intensi dell’intera Commedia. Dante struttura l’incontro in modo magistrale, iniziando con un catalogo di anime famose per poi focalizzarsi su una coppia specifica. Questo movimento dal generale al particolare crea un effetto di zoom narrativo che concentra l’attenzione del lettore.
La dimensione stilnovistica e la critica letteraria
Il linguaggio utilizzato da Francesca rivela l’influenza dello Stilnovo, corrente poetica a cui lo stesso Dante aveva aderito in gioventù. Tuttavia, Dante introduce una critica implicita a questa concezione quando mostra come Francesca utilizzi le teorie stilnovistiche per giustificare il proprio adulterio.
La Progressione Emotiva di Dante Personaggio
La reazione di Dante all’incontro con Paolo e Francesca segna una tappa fondamentale nell’evoluzione psicologica del personaggio, culminando nello svenimento che simboleggia la difficoltà di conciliare compassione umana e giustizia divina.
Figure retoriche nel Canto 5 dell’Inferno della Divina Commedia
Il Quinto Canto dell’Inferno rappresenta uno dei momenti di maggiore intensità poetica dell’intera Divina Commedia. La sua straordinaria potenza espressiva deriva in gran parte dalla magistrale orchestrazione di figure retoriche con cui Dante costruisce il suo universo narrativo.
Verso / Citazione | Figura retorica | Effetto |
---|---|---|
«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, Amor, ch’a nullo amato amar perdona…» | Anafora (ripetizione di una o più parole all’inizio di versi consecutivi) | Rafforza l’idea dell’amore come forza inevitabile e ripetitiva |
«perché la mente mia non si distringa, ché la pietà mi giunse a piangere e trimar» | Allitterazione (ripetizione di suoni simili in parole vicine) | Sottolinea l’intensità emotiva con suoni ripetuti |
«come colombe dal disio chiamate…» | Metafora (sostituzione di un termine con un altro con cui ha un rapporto di somiglianza) | Rende visivo e tenero il legame tra i due amanti |
«e cade giù, ma nella mente posa» | Enjambement (quando un verso continua nel verso successivo senza pausa sintattica) | Genera sospensione e pathos, enfatizzando la riflessione |
«Amor, ch’a nullo amato amar perdona» | Iperbato (dislocazione dell’ordine normale delle parole) | Conferisce enfasi e solennità all’enunciato poetico |
«O animal grazioso e benigno…» | Apostrofe (quando il poeta si rivolge direttamente a qualcuno) | Francesca si rivolge direttamente a Dante, rendendo il discorso più intimo |
«Amor… Amor…» | Poliptoto (ripetizione della stessa parola con forma grammaticale diversa) | Ripetizione del concetto per rafforzare il tema centrale dell’amore |
«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, Amor, ch’a nullo amato amar perdona, Amor condusse noi ad una morte.» | Climax (progressione crescente per intensità o importanza) | Crescendo drammatico che culmina nella morte tragica |
«la bocca mi baciò tutto tremante.» | Metonimia (sostituzione di un termine con un altro legato da una relazione logica (es. causa per effetto) | “La bocca” rappresenta Paolo, esaltando l’atto d’amore con delicatezza |
Temi principali del 5 Canto della Divina Commedia
Nel Canto V dell’Inferno, Dante sviluppa una rete complessa di temi che si intrecciano attorno alla vicenda dei lussuriosi, creando uno dei passaggi più emotivamente intensi dell’intera opera.
Il contrappasso come giustizia poetica
Il principio del contrappasso trasforma il desiderio carnale in tormento eterno, simbolizzato dalla bufera che non concede pace.
La letteratura come tentazione e perdizione
L’episodio “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse” riflette il potere ambiguo della letteratura di ispirare comportamenti peccaminosi, pur essendo essa stessa uno strumento di salvezza.
La duplice natura dell’amore
L’amore, forza creatrice e distruttrice, viene incarnato dalla tragica vicenda di Paolo e Francesca, mostrando la sua capacità di elevare e condannare.
Il conflitto tra pietà umana e giustizia divina
Lo svenimento di Dante evidenzia la tensione tra compassione e razionalità, un conflitto che attraversa l’intero percorso spirituale del poeta.
La fragilità della condizione umana
La vicenda dei due amanti sottolinea la vulnerabilità dell’essere umano di fronte alle passioni, evidenziando la lotta interiore tra aspirazioni e impulsi contro natura.
Il Canto 5 dell’Inferno in pillole
Per un ripasso veloce, ecco tutte le informazioni più rilevanti sul 5 canto dell’inferno della Divina Commedia:
Elemento | In Pillole | Punti Chiave |
---|---|---|
Ambientazione | Secondo cerchio dell’Inferno | • Custodito da Minosse che giudica i dannati • Bufera eterna che travolge le anime • Primo vero cerchio di punizione |
Peccatori | Lussuriosi | • Coloro che subordinarono la ragione al desiderio • Trascinati eternamente dalla bufera infernale • Il contrappasso rispecchia la passione incontrollata |
Personaggi Storici e Mitologici | Anime celebri travolte dalla tempesta | • Semiramide, Cleopatra, Didone • Elena, Achille, Paride • Tristano e altri amanti famosi |
Paolo e Francesca | Protagonisti della storia d’amore tragica | • Cognati legati da amore proibito • Uccisi dal marito tradito (Gianciotto) • Eternamente uniti anche nella dannazione |
Narrazione | Dialogo tra Dante e Francesca | • Racconto dell’innamoramento durante la lettura • “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” • Paolo piange ma non parla mai |
Reazione di Dante | Profonda commozione | • Svenimento finale (“E caddi come corpo morto cade”) • Pietà che prevale sul giudizio morale • Prima crisi emotiva nel viaggio infernale |
Figure Retoriche Principali | Strumenti espressivi di grande impatto | • Similitudini (colombe, storni) • Anafore (ripetizione di “Amor”) • Metafore e ossimori sull’amore |
Significato Teologico | Riflessione sul peccato di lussuria | • Condanna dell’amore carnale che supera la ragione • Potere distruttivo della passione incontrollata • Influenza negativa della letteratura cortese |
Importanza Letteraria | Canto tra i più celebri dell’opera | • Equilibrio tra condanna morale e compassione umana • Modello di poesia che unisce dramma e teologia • Ispirazione per numerose opere d’arte nei secoli |