Inferno: VI Canto - Studentville

Inferno: VI Canto

Parafrasi.

Quando riprendo la conoscenza, che era

rimasta in me offuscata alla vista del pianto doloroso di Paolo e Francesca, pianto che mi aveva, per la tristezza,

completamente sconvolto, vedo intorno a me nuove pene e nuovi puniti, dovunque io vada, o mi rigiri, o volga lo sguardo. Mi

trovo nel terzo cerchio, il cerchio della pioggia destinata a non aver termine, tormentatrice, gelida e pesante; mai non cambia

il suo ritmo ne la materia di cui è fatta. Grossi chicchi di grandine, acqua sudicia e neve cadono con violenza attraverso l’

aria buia; la terra che accoglie tutto questo emana un fetido odore. Cerbero, belva crudele e mostruosa, latra, a modo di cane,

attraverso tre gole, incombendo sulle turbe che in quest’acqua impura sono immerse. Ha gli occhi iniettati di sangue, la barba

unta e nera, il ventre capace, e le mani munite di artigli; graffia le anime dei peccatori, le scuoia e le squarta. Sul piano

allegorico, secondo gli antichi commentatori, gli occhi… vermigli stanno a significare l’avidità rabbiosa, la barba unta la

ributtante ingordigia, il ventre largo l’insaziabilità, le unghiate mani l’indole rapace. La pioggia li spinge a lamentarsi

in modo disumano: con uno dei fianchi proteggono l’altro; gli infelici peccatori continuano a rivoltarsi (cercando inutilmente

di sottrarsi al tormento). Quando Cerbero, l’orribile mostro, ci vide, spalancò le bocche e ci mostrò i denti; un fremito di

rabbia lo agitava tutto. Virgilio tese le mani aperte, afferrò della terra, e, riempitosene i pugni, la gettò nelle tre bramose

gole. Come quello del cane che, abbaiando, manifesta il suo desiderio, e si calma solo dopo aver addentato il cibo, poiché è

tutto intento nello sforzo di divorarlo, tale divenne il sozzo aspetto del triplice volto del diavolo Cerbero, che (coi suoi

latrati) stordisce i peccatori a tal punto, da far loro desiderare la sordità. (Camminando) calpestavamo le ombre che la

pioggia fastidiosa prostra, e mettevamo le piante dei nostri piedi sulla loro inconsistenza materiale, che ha l’apparenza di un

corpo umano. Erano tutte distese per terra, ad eccezione di una che si levò a sedere, non appena ci vide passarle davanti. “O

tu che sei condotto per questo inferno”, parlò, “vedi se sei in grado di riconoscermi: tu nascesti prima che io morissi.” E io:

“La pena che ti tormenta forse ti allontana dalla mia memoria, così che mi sembra di non averti mai veduto. Ma dimmi chi sei,

anima collocata in un posto così doloroso ed assegnata ad un tale tormento, che, se pur ve ne sono di più grandi, nessuno è

altrettanto fastidioso”. Ed egli “Firenze, che a tal punto è colma di odio da non poterne più contenere, mi ebbe fra i suoi

abitanti quando vivevo sulla terra. Voi concittadini mi chiamaste Ciacco: per il peccato rovinoso della gola, come vedi, mi

struggo sotto la pioggia. Né io (qui) sono il solo spirito infelice, poiché tutti questi altri sono soggetti ai medesimi

tormenti per la medesima colpa”. E più non pronunciò parola. Gli risposi: “Ciacco, il tuo dolore mi affligge tanto, da indurmi

a piangere; ma dimmi, se lo sai, a quali estremi si ridurranno gli abitanti della città divisa in fazioni; se in essa si trova

qualcuno che sia giusto; e dimmi anche il motivo per cui tanta discordia ha cominciato a travagliarla”. Ed egli: “Dopo una

lunga contesa si arriverà a un fatto di sangue, e il partito degli uomini del contado (la parte selvaggia: quella dei Cerchi, i

Bianchi) manderà in esilio gli esponenti del partito avversario (quello dei Donati, i Neri) danneggiandoli gravemente. In

seguito è destino che il partito dei Bianchi soccomba prima che siano trascorsi tre anni, e che il partito dei Neri abbia il

sopravvento con l’aiuto di qualcuno che attualmente si barcamena (fra le due opposte fazioni). Il partito dei Neri

spadroneggerà a lungo. tenendo sottomessa la fazione avversa con provvedimenti iniqui, per quanto questa si lamenti e si

sdegni. I cittadini giusti sono due, ma nessuno dà loro ascolto: la superbia, l’invidia e la brama di guadagni sono le tre

scintille che hanno appiccato il fuoco agli animi (aizzando i Fiorentini gli uni contro gli altri)”. A questo punto pose

termine al suo discorso doloroso; e io: “Vorrei avere da te ancora altri schiarimenti, e vorrei che tu mi facessi la grazia di

continuare a parlare. Farinata e Tegghiaio, che furono così degni di onore, Jacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca e gli altri

cittadini che si adoperarono per il bene di Firenze, dimmi dove si trovano e fa in modo che io apprenda qualcosa di loro;

perché grande è il desiderio che ho di sapere se il paradiso dà loro dolcezza, o l’inferno li amareggia”. E Ciacco: “Si trovano

tra i dannati più colpevoli: peccati diversi (da quello punito in questo cerchio) pesano su di loro in modo da tenerli nella

parte bassa dell’inferno: se scenderai fin laggiù, potrai vederli. Ma quando sarai tornato tra i vivi, ti prego di richiamare

il mio nome alla loro memoria: più non parlerò né ti risponderò”. Allora stravolse gli occhi che fino allora avevano guardato

diritti davanti a se; per un attimo ancora mi guardò, e poi abbassò la testa: piombò giù con essa allo stesso livello degli

altri dannati (ciechi: in quanto privi della luce dell’intelletto). E Virgilio mi disse: “Più non si alzerà prima del suono

delle trombe degli angeli, quando verrà il giudice nemico del reprobi (Cristo): ogni dannato rivedrà ( allora ) il suo triste

sepolcro, assumerà nuovamente il corpo e l’aspetto che aveva da vivo, ascolterà la sentenza che deciderà la sua sorte per l’

eternità”. La solennità di questa rappresentazione del Giudizio Universale non trova riscontro che in alcuni dei più grandi

capolavori delle arti figurative. Cosi, razionando un poco intorno alla vita d’oltretomba, camminammo lentamente attraverso l’

immondo miscuglio fatto di ombre di peccatori e di acqua; e pertanto mi rivolsi a Virgilio: ” Maestro, queste pene aumenteranno

o diminuiranno d’intensità dopo Il Giudizio Universale, o saranno dolorose come adesso? ” E Virgilio: “Ripensa alla tua

dottrina, secondo la quale, quanto più una cosa è perfetta, tanto più intensamente sente il piacere non meno del dolore. Benché

i dannati non possano mai conseguire la vera perfezione (che si ha solo quando l’uomo e vicino a Dio), attendono di essere

perfetti dopo il Giudizio più che non prima”. Percorremmo il cerchio secondo la sua circonferenza, discorrendo assai di più di

quanto io non abbia qui riferito; giungemmo nel punto ove da questo cerchio si scende nel successivo: ivi ci imbattemmo in

Pluto, l’orribile diavolo.

  • Parafrasi de La Divina Commedia

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