Bassissima intensità lavorativa: in Italia una persona su dieci vive in famiglie con occupazione quasi assente

Bassissima intensità lavorativa: in Italia una persona su dieci vive in famiglie con occupazione quasi assente

Nel 2024, l'Eurostat rivela che in Italia il 10% della popolazione sotto i 65 anni vive in nuclei familiari dove gli adulti lavorano meno del 20% del loro potenziale annuo.
Bassissima intensità lavorativa: in Italia una persona su dieci vive in famiglie con occupazione quasi assente

Nel 2024, l’ufficio statistico dell’Unione Europea ha pubblicato i dati relativi alla popolazione che vive in nuclei familiari a bassissima intensità lavorativa. In Italia, questa condizione riguarda il 10% delle persone sotto i 65 anni. L’indicatore misura la quota di individui che risiedono in famiglie dove gli adulti in età lavorativa hanno prestato attività per meno del 20% del loro potenziale lavorativo annuo.

La bassissima intensità lavorativa non descrive la situazione occupazionale del singolo individuo, ma fotografa il contesto complessivo del nucleo familiare. Si considera il totale delle ore lavorate nell’anno da tutti i componenti adulti rispetto al massimo teoricamente raggiungibile. Quando questa percentuale scende sotto il 20%, il nucleo rientra nella categoria monitorata da Eurostat.

L’indicatore rileva quindi famiglie dove la presenza di occupazione retribuita è marginale o assente durante l’intero anno di riferimento. Il perimetro d’analisi esclude gli over 65 e si concentra sulla popolazione in età potenzialmente attiva, comprendendo anche i minori che vivono in tali contesti familiari.

Il confronto europeo e la posizione dell’Italia

Nel panorama europeo, l’Italia si colloca al 10%, superando la media dell’Unione Europea ferma al 7,9%. Il dato italiano risulta in linea con quello di Finlandia e Francia, mentre Spagna, Irlanda e Svezia registrano percentuali inferiori.

Tra i paesi con valori pari o superiori a quello italiano spiccano il Belgio con l’11,4%, la Danimarca con il 10,6% e la Germania esattamente al 10,0%. All’estremo opposto della classifica si trovano Slovenia, Lussemburgo e Polonia, con valori rispettivamente del 3,5%, 3,9% e 4,1%, che testimoniano una realtà occupazionale e sociale profondamente diversa.

Il divario rispetto alla media comunitaria sottolinea come l’Italia presenti ancora margini di miglioramento in termini di partecipazione lavorativa dei nuclei familiari, configurandosi tra le economie avanzate con maggiore incidenza di famiglie a bassissima intensità lavorativa.

Le dinamiche strutturali richiamate e il legame con l’esclusione sociale

Il dato italiano riflette dinamiche strutturali che attraversano il mercato del lavoro nazionale. Tra i fattori che possono contribuire a generare nuclei con bassa presenza occupazionale figurano la disoccupazione di lunga durata, la scarsa partecipazione femminile al lavoro, la diffusione del lavoro sommerso e la precarietà contrattuale.

Queste condizioni incidono direttamente sul rischio di povertà ed esclusione sociale. Quando gli adulti di una famiglia non lavorano o lavorano per periodi molto limitati, le risorse economiche disponibili si riducono significativamente. Di conseguenza, le possibilità di uscire da situazioni di fragilità economica diventano minori, innescando un circolo che può perpetuare condizioni di marginalità.

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