I NEET (Not in Education, Employment or Training) identificano i giovani che non frequentano percorsi scolastici, universitari o formativi post-diploma, non lavorano e non seguono altre forme di qualificazione professionale. Secondo i dati Eurostat, l’Italia occupa il secondo posto in Europa per incidenza del fenomeno, preceduta soltanto dalla Romania.
Tra i ragazzi italiani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, il tasso di NEET si attesta intorno al 15%, contro una media europea dell’11%. Questi numeri sono stati presentati nell’ambito dell’iniziativa “Con i giovani, contro la violenza. Prevenire il disagio e difendere le relazioni per una Lombardia Zero NEET“, promossa dalla Fondazione Asilo Mariuccia in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e ALTIS Graduate School of Sustainable Management, e inquadrano la gravità della condizione di inattività giovanile nel contesto nazionale ed europeo.
Le cause strutturali e le disparità territoriali
Il fenomeno NEET in Italia affonda le radici in un intreccio complesso di fattori strutturali che determinano l’inattività di una fascia rilevante di giovani. La crisi demografica rappresenta il primo nodo critico: la progressiva riduzione della popolazione giovanile erode il potenziale produttivo del Paese e indebolisce la base sociale su cui costruire sviluppo e innovazione.
L’accesso al mercato del lavoro risulta ostacolato da molteplici barriere. Gli indirizzi scolastici offerti dal sistema formativo italiano mostrano una scarsa capacità di specializzazione rispetto alle richieste delle imprese, generando un disallineamento tra competenze acquisite e opportunità occupazionali. A questo si aggiunge il divario territoriale tra Nord e Sud, che penalizza ulteriormente le regioni meridionali in termini di sbocchi lavorativi e infrastrutture formative.
La condizione dei NEET costituisce un campanello d’allarme per la coesione sociale e richiede un approccio multidisciplinare coordinato. Il rafforzamento del raccordo tra scuola e mondo del lavoro, nonostante gli strumenti esistenti come i percorsi PCTO, resta un obiettivo incompiuto.
Investire in questa direzione significa garantire al Paese vitalità economica, innovazione e sostenibilità sociale, contrastando il rischio di marginalizzazione di un’intera generazione.
La condizione degli adolescenti tra casa, sport e cultura
Sette adolescenti su dieci preferiscono trascorrere il tempo libero in casa, una tendenza che riflette la scarsità di opportunità di incontro con i coetanei nel proprio quartiere. Le difficoltà si concentrano soprattutto nelle periferie urbane, dove i ragazzi vivono quella che la fonte AdnKronos definisce una vera “privazione della fiducia”, non solo verso il prossimo ma anche rispetto alle prospettive future.
I dati sulla partecipazione ad attività extrascolastiche evidenziano carenze significative: il 72% degli adolescenti non svolge laboratori musicali, artistici o teatrali, mentre il 35% non pratica alcuna attività fisica o sportiva. Il divario di genere emerge con chiarezza in ambito sportivo, dove la percentuale di inattività sale al 48% tra le ragazze, segnalando ostacoli specifici nell’accesso a spazi e iniziative dedicate.
Le priorità dichiarate: relazioni, amore e salute mentale
Gli adolescenti italiani denunciano una diffusa sensazione di non essere ascoltati, eppure esprimono con chiarezza la propria scala di valori. Secondo l’indagine condotta dall’Istituto Demopolis per “Con i bambini” in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, famiglia e amicizia occupano le prime posizioni nella graduatoria delle “cose importanti della vita”, rispettivamente al 78% e 72%.
Sul podio emerge anche il benessere psicologico, lo stare bene con sé stessi, esigenza acuita dall’esperienza del lockdown. L’amore mantiene un ruolo centrale per il 62% dei ragazzi.
Tuttavia, il contesto urbano non sostiene tali priorità. Meno della metà del campione considera adeguati spazi verdi, scuole, strutture sportive e trasporti pubblici. La valutazione peggiora per sicurezza urbana, qualità dell’aria e servizi sociali, ritenuti sufficienti da meno del 30% degli intervistati.
Emerge così un divario tra bisogni affettivi e relazionali dei giovani e carenze strutturali delle città italiane, percepite come poco a misura di minori.
Le leve di intervento per scuola e territorio
Per contrastare l’inattività giovanile serve un intervento coordinato che rilanci il collegamento tra istruzione e mondo produttivo. Il rafforzamento della formazione scuola-lavoro, anche al di là dei percorsi PCTO, rappresenta l’investimento prioritario per assicurare vitalità economica e sostenibilità sociale.
L’azione sulla scuola deve puntare a sostenere l’autostima degli studenti attraverso il coinvolgimento in attività extracurricolari che rafforzino competenze trasversali: artistiche, sportive e digitali costituiscono leve concrete per l’inclusione. Investire in corsi professionali consente di agevolare l’accesso al lavoro per chi interrompe precocemente gli studi.
Un approccio multidisciplinare che coinvolga istituzioni, scuole, famiglie e imprese è indispensabile per coltivare quei sentimenti non banali – famiglia, amicizia, benessere – che gli adolescenti stessi indicano e per farli crescere con le corrette convinzioni, superando paure e inattività.