Il mondo del giornalismo sportivo italiano piange la scomparsa di Bruno Pizzul, voce storica della Nazionale di calcio, venuto a mancare all’età di 86 anni. Per generazioni di appassionati, la sua inconfondibile cadenza friulana ha accompagnato le gesta degli Azzurri in cinque Campionati del Mondo e quattro Europei, dal 1986 fino al 2002.
Prima di diventare il narratore delle emozioni calcistiche degli italiani, Pizzul ha percorso un cammino professionale meno noto al grande pubblico: quello dell’insegnamento. Una duplice vocazione che ha caratterizzato profondamente la sua vita, portandolo a coniugare la passione per la comunicazione con quella per la formazione, lasciando un’eredità che va ben oltre il calcio.
Percorso professionale
La carriera di Bruno Pizzul si è sviluppata su due binari paralleli che si sono incrociati in un momento decisivo della sua vita. Prima di diventare la voce del calcio italiano, Pizzul ha insegnato lettere per tre anni nelle scuole medie, occupandosi di storia, geografia, italiano e latino. Questa esperienza formativa ha plasmato la sua sensibilità e il suo approccio comunicativo.
Nel 1969 avvenne la svolta professionale con l’assunzione in Rai, seguita l’anno successivo dal debutto come telecronista in occasione dello spareggio di Coppa Italia tra Juventus e Bologna. La sua carriera ha raggiunto l’apice quando, dalla Coppa del Mondo del 1986, è diventato il narratore ufficiale delle partite della Nazionale italiana, commentando ben cinque Campionati del Mondo e quattro Europei.
Il destino lo mise davanti a una scelta cruciale quando, contemporaneamente, ottenne la nomina a professore di ruolo in storia e filosofia al liceo di Monfalcone e superò il concorso da telecronista. La sua decisione di seguire la strada del giornalismo sportivo non ha mai cancellato l’eredità del suo passato da educatore, che ha continuato a influenzare il suo stile di comunicazione fino all’ultima telecronaca nel 2002.
Impatto e testimonianze
La figura di Pizzul ha lasciato un’impronta indelebile sia nel mondo dell’insegnamento che in quello del giornalismo. Gli ex allievi lo fermavano spesso per strada con la classica domanda: “Professore, si ricorda di me?”, testimoniando il legame speciale creato nelle aule. Dell’insegnamento conservava un ricordo prezioso: “Insegnare era un mestiere stupendo, ti dava quel senso di utilità unico”.
Riconosceva sempre l’importanza dei maestri che lo avevano ispirato, come Beppe Viola e Gianni Mura, ricordando con nostalgia “quel modo allegro di stare insieme” che univa rigore professionale e genuina umanità.
Foto copertina via IlSole24ore