Quamquam haec quidem iam tolerabilia videbantur etsi aequabiliter in rem publicam in privatos in longinquos in propinquos in alienos in suos inruebat; sed nescio quo modo iam usu obduruerat et percalluerat civitatis incredibilis patientia. Quae vero aderant iam et impendebant quonam modo ea aut depellere potuissetis aut ferre? Imperium ille si nactus esset–omitto socios exteras nationes reges tetrarchas; vota enim faceretis ut in eos se potius immitteret quam in vestras possessiones vestra tecta vestras pecunias:–pecunias dico? a liberis (me dius fidius) et a coniugibus vestris numquam ille effrenatas suas libidines cohibuisset. Fingi haec putatis quae patent quae nota sunt omnibus quae tenentur? servorum exercitus illum in urbe conscripturum fuisse per quos totam rem publicam resque privatas omnium possideret?
Versione tradotta
Si cominciava, però, a considerare tutto ciò tollerabile, anche se senza distinzioni di sorta egli si scagliava sullo stato e sui privati, sui lontani e sui vicini, sugli estranei e sui parenti: ma, non so come, con l’abitudine s’era ormai indurito e incaflíto l’incredibile senso di sopportazione della cittadinanza. Quei mali, però, che ormai inconbevano e ci sovrastavano, in quale modo avreste potuto stornarli o sopportarli? Se avesse ottenuto il potere (lascio da parte i provinciali, le nazioni straniere, i re, i tetrarchi: avreste fatto voti, perché si scagliasse su di loro anziché sulle vostre proprietà, sulle vostre dimore, sulle vostre sostanze): ma che dico le sostanze? Non si sarebbe mai trattenuto dallo sfogare la sua irrefrenabile libidine sui vostri figli – in nome del dio Fidio! – e sulle vostre mogli. Pensate forse che sia una mia invenzione ciò che è evidente, noto, palmare, e cioè che egli stava per arruolare a Roma un esercito di schiavi, per impadronirsi dello stato intero e della proprietà privata di tutti?
- Letteratura Latina
- Pro Milone di Marco Tullio Cicerone
- Cicerone