La mobilitazione dei ricercatori ferma la riforma Bernini

Mobilitazione dei ricercatori: stop al ddl Bernini

La riforma del pre ruolo universitario voluta dalla ministra Bernini subisce una battuta d'arresto
Mobilitazione dei ricercatori: stop al ddl Bernini

La riforma del pre ruolo universitario voluta dalla ministra Bernini subisce una battuta d’arresto. L’esame parlamentare del ddl è stato sospeso in seguito alle intense proteste provenienti dal mondo accademico, come emerso durante l’ultima riunione della Conferenza dei Rettori.

La decisione arriva dopo mesi di contestazioni da parte di sindacati e associazioni di dottorandi, che hanno portato la questione fino alla Commissione europea. La ministra Bernini, già sotto pressione per i consistenti tagli all’università, si trova ora a dover gestire una situazione sempre più complessa, mentre le associazioni di ricercatori celebrano questo primo importante risultato della loro mobilitazione.

La sospensione dell’iter parlamentare rappresenta un punto di svolta significativo nel dibattito sulla riforma universitaria, evidenziando l’efficacia delle azioni di protesta coordinate dal mondo della ricerca.

Dettagli della mobilitazione

La protesta ha visto in prima linea il coordinamento degli Stati di agitazione dell’università, che comprende diverse organizzazioni tra cui l’Associazione dottorandi e dottorati italiani (ADI) e la FLC CGIL. Il 4 novembre, queste associazioni hanno presentato un esposto alla Commissione Europea, denunciando il mancato rispetto degli impegni del PNRR relativi alla stabilizzazione delle carriere universitarie.

La mobilitazione ha contestato soprattutto il tentativo di reintrodurre l’assegno di ricerca sotto altra denominazione, considerato sottopagato e privo di tutele adeguate rispetto agli standard europei. L’intensità delle proteste e la solidità delle argomentazioni presentate hanno portato alla sospensione dell’esame parlamentare del ddl, nonostante la CRUI abbia invitato la ministra Bernini a proseguire con l’iter di approvazione.

Implicazioni politiche e finanziarie

La gestione dei tagli al settore universitario rappresenta un punto critico della vicenda. La ministra Bernini ha annunciato uno stanziamento di 9,4 miliardi per il Fondo di finanziamento ordinario e un investimento di 37,5 milioni per i contratti di ricerca, principalmente destinati agli atenei meridionali.

L’opposizione e i sindacati contestano fortemente questi numeri. Il senatore Francesco Verducci del PD sottolinea come si tratti di risorse PNRR già vincolate e non di una scelta politica innovativa. L’FLC CGIL denuncia un taglio complessivo di oltre 600 milioni in due anni, evidenziando come il FFO del 2025 risulterà comunque inferiore alle previsioni della legge del 2022.

Particolarmente preoccupante è la mancanza di circa 300 milioni annui necessari per coprire gli adeguamenti stipendiali del personale tecnico-amministrativo e docente.

Riflessioni e prospettive per il futuro universitario

La mobilitazione dei ricercatori ha evidenziato la necessità di interventi strutturali nel sistema universitario italiano. Per garantire contratti di ricerca dignitosi e stabili, sono necessari almeno 200 milioni di euro, ben oltre i 37,5 milioni attualmente stanziati.

La voce unanime della comunità accademica richiede un’inversione di rotta rispetto ai tagli previsti, sottolineando come la qualità della ricerca e dell’insegnamento dipenda dalla stabilizzazione dei percorsi professionali. L’impatto della protesta ha dimostrato che un cambiamento è possibile, ma richiede un impegno concreto da parte delle istituzioni per garantire risorse adeguate e prospettive di carriera sostenibili. La situazione resta in evoluzione, con la comunità universitaria che mantiene alta l’attenzione sulle prossime mosse del governo e del Ministero.

 

Foto copertina via Flickr MaurizioRossinFoto 

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