Squid Game a scuola, l'esperimento di un prof torinese: ecco come è andata - Studentville

Squid Game a scuola, l'esperimento di un prof torinese: ecco come è andata

Un professore di Torino porta "Squid Game" in classe: un esperimento originale e coinvolgente per far riflettere i ragazzi sulla "addiction" alla serie.
Squid Game a scuola, l'esperimento di un prof torinese: ecco come è andata

Nel quadro di una contemporaneità frenetica, in cui i più giovani sono esposti a una miriade di stimoli diversi che rischiano di disorientarli e confonderli, la dinamica ludica può rappresentare senza dubbio una marcia in più per rivitalizzare una spesso piatta routine scolastica. Lo dimostra l’iniziativa di un professore torinese che ha deciso di prendere spunto da uno dei fenomeni pop più dirompenti degli ultimi tempi, la serie coreana “Squid Game”.

Daniele Martino, insegnante di italiano in una scuola media, per una settimana, ha ammonito gli allievi troppo scalmanati intonando la sinistra canzoncina della gigantesca bambola robot che nella serie streaming sfida i partecipanti a “Un, due, tre stella” e li uccide se percepisce un loro minimo movimento.

E il suo esperimento non si è limitato a questo: alla fine  il docente della scuola “Meucci” dell’Istituto Comprensivo “Pacchiotti Revel” di Torino ha anche portato in ragazzi in palestra, per simulare la partecipazione allo Squid Game finale, invitandoli a riflettere sull’effettivo divertimento di un meccanismo di gioco così cinico e violento.

Un professore di italiano ha coinvolto i suoi studenti in un’esperienza di simulazione del gioco di “Squid Game”

Nei nove episodi che compongono la prima stagione della serie trasmessa con successo planetario da Netflix, un gruppo di persone ai margini della società, disperate e senza prospettiva di riscatto, accetta di prendere parte a un macabro torneo, in cui si devono affrontare sei giochi d’infanzia l’esclusione dai quali implica l’eliminazione fisica.

Squid Game esperimento a scuola

“Squid Game” è stata vietata ai minori di 14, ma nonostante ciò i contenuti sono stati fruiti abbondantemente anche dai videogiochi, tanto che molti bambini delle scuole elementari di diverse regioni italiane sono stati sorpresi a fingere di sparare ai loro compagni eliminati dall’innocente gioco “Un, due, tre stella”.

Il professor Martino, quindi, ha raccontato le motivazioni della sua originale iniziativa: “Ho voluto rispondere all’appello del Garante per l’infanzia. Che all’epoca aveva esortato gli educatori a discutere insieme ai ragazzi i motivi del successo planetario di una serie basata sulla violenza che uccide chi perde”.

“L’obiettivo dell’unità di apprendimento è stato di rendere consapevoli i miei allievi di terza media della fascinazione inconscia di cui sono succubi. Farli ragionare sulla loro ‘addiction’ traumatica” ha continuato l’insegnante. “È emerso che erano attratti dalla dimensione del gioco, dalle tute e maschere usate dalle guardie assassine, dai jingle”.

Introdurre la dimensione ludica nelle dinamiche didattiche tradizionali può aiutare a veicolare messaggi educativi importanti

Il professore ha sfruttato allora lo stimolo del jingle della bambola killer per poter mostrare in maniera evidente ai ragazzi la loro specifica reazione all’input. “Facendolo partire, si fermavano subito tutti nella paura di qualche rappresaglia didattica come una verifica a sorpresa: una sorta di riflesso condizionato”.

Poi “quando si sono trasformati da spettatori a personaggi, hanno vissuto la paura di perdere e quindi di morire, è stata un’ora di una tensione enorme. Davvero nessuno voleva saperne di essere buttato fuori dal campo. Uno di loro si è preso una botta in testa e abbiamo dovuto applicargli del ghiaccio” ha concluso Martino.

Il gioco si è trasformato dunque in una vera e propria lezione, in grado di trasmettere un messaggio educativo potente attraverso una metodologia coinvolgente, sfidante e tutt’altro che tradizionale.

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