Festa della mamma: 5 poesie di grandi letterati - StudentVille

Festa della mamma: 5 poesie di grandi letterati

L'8 maggio sarà la Festa della Mamma. Ecco alcune poesie da dedicarle!
Festa della mamma: 5 poesie di grandi letterati

Festa della mamma: cosa dedicare

L’8 maggio sarà la Festa della mamma, non a caso questa festività cade (almeno in Italia) ogni anno nella seconda domenica del mese. Avete voglia di dedicare una bella poesia alla donna che vi ha messo al mondo, tuttavia avete poca fantasia? Ci siamo noi ad aiutarvi, prendendo spunto da alcune poesie già famose.

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Ecco per voi 5 poesie di grandi letterati dedicate alla mamma:

“La mamma veglia”, di Ada Negri
La mamma veglia, calma nel sorriso,
presso il lettuccio dove la bimba dorme.
Hanno nel sonno le infantili forme
una soavità di paradiso.

S’addormentò la bimba con la mano
nella sua mano; ed ella più non sa
toglier le sue da quelle
piccole dita, petali di rosa.

Passano l’ore e passano le stelle.
La madre veglia e ancora,
nel divino silenzio, ella non osa
togliere la sua da quella man di rosa
che tiene tutto avvinto il suo destino.

“La madre”, di Giuseppe Ungaretti
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
“La madre”, di Victor Hugo
La madre è un angelo che ci guarda
che ci insegna ad amare!
Ella riscalda le nostre dita, il nostro capo
fra le sue ginocchia, la nostra anima
nel suo cuore: ci dà il suo latte quando
siamo piccini, il suo pane quando
siamo grandi e la sua vita sempre.

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio”, di Dante Alighieri
Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.

“A mia madre”, di Eugenio Montale
Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce nel sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un’ombra la spoglia
(e non è un’ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto d’una
vita che non è un’altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell’eliso
folto d’anime e voci in cui tu vivi;
e la domanda che tu lasci è anch’essa
un gesto tuo, all’ombra delle croci.

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